di Anselmo Fantoni – Finita da un pezzo l’estate e arrivato l’autunno, si comincia a desiderare un caminetto e cene al calduccio con amici e parenti e la cucina diventa più ricca e opulenta, anzi inizia la stagione delle polente, di mais o di castagne, condite con formaggi, verdure, carni o anche pesce.
La polenta di mais è estremamente versatile, una tela gialla su cui il cuoco può sbizzarrirsi come meglio crede. Anche qui non basta dire polenta, non è sufficiente una farina qualunque, il prodotto deve essere di alta qualità per poter donare un piacevole incontro. Il mais migliore è il nostro marranino rosso, dai chicchi piccoli e da una farina scura e saporita. Oggi, con i cambiamenti culinari e sociali, è un piatto che si vede poco sulle tavole di casa, troppo laborioso, faticoso da realizzare, anche perché spesso è il sugo che la accompagna che scoraggia.
Ma questo piatto antico che profuma di nonna, che riapre ricordi di quando bambini si viveva nelle aie e nelle stalle, di quando il Casentino era ancora medioevale e le famiglie e i rapporti molto spesso rimanevano entro i piccoli borghi di montagna. Per fare una vera polenta bisogna seminare del buon seme, curare le piante difendendole dalle erbacce, raccogliere le pannocchie, lasciarle asciugare bene dopo averle sfogliate la sera a veglia, “spicciolarle” la manico di uno staio per il grano, vagliare i chicchi eliminando quelli con evidenti difettucci, tostarli in un forno a legna e macinare lentamente in un molino a pietra azionato dalle acque dei nostri torrenti.
A questo punto si setaccia la farina che non deve essere troppo fina, se prende un po’ e si comincia a farla cadere a pioggia sull’acqua “a bollore”, dove abbiamo messo l’olio EVO e il sale, mescolando velocemente per evitare che si formino dei grumi. Una volta incorporata tutta la farina dobbiamo continuare a girare energicamente per evitare che la polenta si bruci, il fuoco va mantenuto vivo e la cottura non è lentissima, quando scoppiano i vulcani ed escono fumate di vapore si deve girare fino a che non si raggiunge la perfetta cottura. Appena è cotta si rovescia la polenta su una spianatoia e si attende che si rapprenda un attimo, si possono adagiare sul piatto di portata delle cucchiaiate di polenta o delle fette a vostro piacimento e poi cosparsa dal condimento. La polenta regala sempre allegria e fa compagnia, è il cibo che ti riporta a casa, anche più di una farfalla di pasta… buon appetito.
Baccalà in insalata, una cosa piacevole, storica e moderna al tempo stesso. Procuratevi un bel filetto dissalato perfettamente, oppure dissalatelo voi, come preferite; lessate il baccalà in poca acqua, scolatelo spellatelo e sfilettatelo in una insalatiera, schiacciate uno spicchio d’aglio e scioglietelo nell’olio EVO, aggiungete l’olio aromatizzato al baccalà sfilettato spolverate con un pizzico di pepe e uno sbuffo di peperoncino. Cospargete col prezzemolo e il gioco è fatto. Aggiungete il baccalà condito alla polenta calda e aggiungete una grattata di buccia di arancio.
I PIATTI
Polenta d’autunno Ingredienti – 500 gr di farina di mais – 2 lt di acqua – 15 gr di olio di oliva EVO – Un cucchiaio di sale grosso
Baccalà in insalata Ingredienti – 250 gr di baccalà dissalato – Uno spicchio d’aglio – Un pizzico di pepe – Un soffio di peperoncino – Olio EVO q.b. – Prezzemolo q.b. – Un’arancia bio
VINO CONSIGLIATO
Vinnae Ribolla Gialla IGT Venezia Giulia 2020 Jerman Due classici della nostra cucina in un’accoppiata minimalista volta ad esaltare i sapori decisi e semplici della polenta e del baccalà. Ma come sempre la qualità della materia prima è un requisito indispensabile. Polenta castagne e baccalà insieme ad arringhe e saracche hanno sfamato intere generazioni, dove le proteine nobili erano fornite da sua maestà il maiale e dai più economici legumi: fagioli, ceci, veccie e lupini.
Campagne fatte di duro lavoro e pranzi frugali, si poteva mangiare un po’ di più a Pasqua, Natale e durante le battiture dove l’ocio era l’attore principale. Oggi abbiamo il problema dell’abbondanza, dei cibi industriali, allevamenti intensivi che sfornano quantità di carni superiori alle necessità molto spesso di pessima qualità. Di qui la necessità di riscoprire una dimensione meno consumistica e qualitativamente più elevata. Per il piatto di questo mese siamo andati nella marca Giulia in una cantina simbolo di vignaioli che hanno saputo coniugare fatica e successo con qualità eccelse.
Il vino scelto non è il loro vino di punta, ma sicuramente un vino simbolo della terra friulana la Ribolla gialla Vinnae del 2020. La Ribolla insieme al friulano incarnano l’anima di questo territorio mitteleuropeo, un po’ romano, un po’ austro ungarico con influenze slave e teutoniche, qui tutto sembra perfetto, i campi, i vigneti, i ruscelli e le colline, controllati dalle Alpi sobrie e imponenti come vecchi generali. Il colore è un giallo paglierino trasparente vivissimo, al naso frutto e note iodate inebriano i sensi con volteggi di erbe aromatiche e note agrumate di salvia e arancia seguite da fiori di rosmarino.
In bocca il vino è saporito e succoso con alcool e freschezza che si bilanciano mantenendo il sorso goloso. Il finale concorda pienamente e lascia un piacevole ritorno mentolato. Ottimo l’abbinamento che regala bocconi di piacevole sapore delicato. Who is Jerman? Il sogno ha le sue radici nel lontano 1881, ma è negli anni 70 del secolo scorso che grazie a Silvio l’azienda cambia passo e con il lancio del Vintage Tunina entra nel gota enoico mondiale. Oggi l’azienda ha grande attenzione alla biodiversità e al rispetto della sostenibilità pur non essendo certificata biologica, ma questo non impedisce di perseguire traguardi ambiziosi e rispettosi dell’ambiente.
Se quindi volete immergervi in una realtà che sfiora la perfezione non potete mancare ad una visita di questa realtà veramente interessante. Come sempre moderazione per la nostra ed altrui salute e buon autunno. Finis coronat opus.
(“Cosa bolle in pentola” e “Mondovino” sono due rubriche curate da Anselmo Fantoni)