di Matteo Bocca – Nel corso della storia la geografia del nostro paese si è evoluta, ramificata, e stratificata sul territorio plasmata dall’opera dell’uomo e dalle generazioni che si sono succedute. Durante i secoli ogni angolo, anfratto o zona impervia dell’Italia è stata colonizzata e presidiata per la sua importanza strategica o logistica, per le sue risorse idriche, agricole o forestali. Luoghi che fin dall’antichità si sono preservati grazie alle popolazioni che le hanno abitate. Erano infatti proprio loro, le genti che vivevano in quei luoghi a renderli vivi e a preservarne il territorio. I guardiani, le sentinelle dei pendii e delle foreste che curavano i boschi e mantenevano i corsi d’acqua puliti per evitare i disastri a valle, che tagliavano la legna per ricavarne il carbone, che macinavano il mais, le castagne e il grano per ricavarne la farina.
Sapienze antiche tramandate da secolari insegnamenti e stratificate nel corso della storia, e che ora purtroppo stanno lentamente scomparendo, come a Cetica. Nulla di nuovo. È un processo che da tempo la globalizzazione sta provocando nella società odierna e nella sua distribuzione urbanistica. Solo che oggi c’è di peggio, perché dopo l’annuncio della chiusura dell’unico centro di aggregazione che esisteva a Cetica, tutto ciò che era sopravvissuto al vento della storia rischia di essere spazzato via in poco tempo: il 23 ottobre ha chiuso i battenti il Bar Trattoria La Carlona. Ristorante, pizzeria bar, ma soprattutto l’unico luogo di socializzazione della comunità dove si potevano incontrare fungaioli, cacciatori e gli escursionisti nella stagione turistica (che a Cetica non dura più di un mese e mezzo o due, al massimo).
Uno di quei luoghi di ogni piccolo paese che prima di essere attività commerciali sono presidi del territorio. I baluardi di ciò che di umano ci è rimasto dopo la pandemia. L’unico forno che c’era in paese ha chiuso i battenti lo scorso anno, e ora a Cetica resterà solo un piccolo alimentari gestito un’anziana signora. È tutto, amen. Le motivazioni di questa cronaca di una morte sociale annunciata hanno radici più profonde del Covid e partono da politiche scriteriate accumulate nel tempo, ma non c’è dubbio che la crisi geopolitica in corso stia falcidiando a ritmo settimanale decine di attività di ogni genere, e la sua rapidità rischia di degenerare in un disastro economico.
Queste sono le ragioni che stanno alla base della scelta dei gestori dell’attività di abbassare le serrande. Una scelta che non è stata facile, avendo investito dal 2014 diverse risorse nel locale per migliorarne l’aspetto e la fruibilità, ma che ad agosto si è resa inevitabile. I rincari repentini e vertiginosi delle bollette e delle materie prime non hanno lasciato loro scampo, come ammettono i titolari Michele e Simona Mugnai. «Nella bella stagione eravamo in grado di guadagnare abbastanza per sopperire alla scarsità di lavoro durante l’inverno, ma con le bollette che sono arrivate, quello che è entrato nel cassetto è uscito subito per pagarle; ma la cosa più assurda è che ci tocca chiudere anche se stiamo lavorando». Assurdo, già. Non c’è davvero altro termine per definire ciò che sta accadendo in quest’epoca impazzita. E ora che chiuderà i battenti l’unico luogo di incontro e ristorazione del paese, Cetica rischia di scivolare nel dimenticatoio nel giro di pochi anni, e di essere solo la punta dell’Iceberg.
Fa rabbia però, fa molta rabbia vedere un’attività commerciale sana, fatta di gente competente in grado di riempire un locale in un posto sperduto nella foresta, andare in malora perché il mondo era già impazzito prima che scoppiasse una guerra. Fa però anche rabbia sapere che altri paesi sono stati in grado di prevenire il disastro economico, salvando attività come questa con politiche lungimiranti che sarebbero state necessarie anche dalle nostre parti. Abbiamo chiesto ai gestori se hanno ricevuto il supporto delle istituzioni, ma a parte qualche soluzione alternativa, solo braccia aperte. D’altronde, di fronte allo tsunami che sta investendo l’economia mondiale, una piccola amministrazione a questo punto può fare davvero poco altro.
Ciò che ci troviamo a fronteggiare è un problema che va anche ben oltre le capacità del governo entrante, ed è destinato a modificare ulteriormente gli equilibri e la geografia del territorio. Purtroppo, i luoghi già fragili al cospetto dell’economia globale, potrebbero essere le prime vittime dello spopolamento. Con la cessazione dell’attività della trattoria non muore però solo un esercizio commerciale. Muoiono sogni, passioni, desideri, amicizie e una rete di rapporti umani che sono il collante sociale di ogni piccola comunità. Quel sentimento di condivisione e aiuto reciproco che era già evidente appena entrati nel locale, famiglie e conoscenti seduti in ogni tavolo disponibile, atmosfera dimessa e qualche discorso di solidarietà, ma soprattutto lo sbalordimento generale per il cartello appeso alla porta d’ingresso: «Cedesi Attività».
Qualcuno che provava a ipotizzare una colletta per aiutare i gestori a tirare avanti in qualche modo, qualcuno si domandava ancora le ragioni della chiusura e qualcun altro si affidava ai santi. Purtroppo, nemmeno i piani alti del Paradiso sono stati in grado di evitare la serrata definitiva della trattoria. Per evitare la morte sociale e l’abbandono di frazioni isolate e remote come Cetica servirebbe un piano strategico di valorizzazione e rilancio delle aree interne. Intendiamo uno serio, perché quello che avrebbe dovuto evitare la situazione attuale deve essersi inceppato da qualche parte. L’emorragia demografica delle aree montane è in corso da tempo, e solo l’attuazione di concrete politiche di recupero e rilancio di quei luoghi potrà evitare lo spopolamento progressivo e l’inevitabile abbandono di quei paesi situati nelle zone più remote del Paese.
L’urgenza di questi interventi non può e non deve essere trascurata, ma per far fronte a sfide di una simile portata saranno inevitabili scelte coraggiose, e le scelte coraggiose comportano cambiamenti, anche radicali. L’attuale situazione geopolitica del nostro Paese nel contesto della crisi internazionale impone ben più che semplici riflessioni. La quantità e la portata dei problemi che ci troveremo ad affrontare dovranno essere gestiti con un sistema diverso dalla logica nepotista che ha riempito le stanze dei bottoni di tutta Italia negli ultimi decenni.
L’attuale classe dirigente, di tutti i colori, ha dimostrato di non essere in grado di rispondere a sfide dal respiro molto più ampio dei ristretti potentati territoriali generati da una mentalità politica obsoleta. Un modo antiquato e settario di gestire le amministrazioni di ogni livello che ha prodotto di tutto, ma raramente il bene comune.
Se non saremo in grado di far fronte alle sfide future, paesi come Cetica rischiano di diventare nel giro di qualche decennio come quei ruderi che si incontrano oggi in alcuni punti della foresta. Luoghi spettrali ammantati di leggende, abitati in epoche remote da monaci, pastori e contadini.
Luoghi dove un tempo i Romani avevano edificato i loro avamposti e che, secolo dopo secolo, erano divenuti strategici per la viabilità e le loro produzioni agricole o forestali. Paesi che conservano saperi e usanze millenarie uniche al mondo, che caratterizzano la storia del nostro popolo e ci hanno resi famosi in tutto il mondo, proprio come il paese di Cetica.