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venerdì, 25 Aprile 2025

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Riccardo Ferri, dal Casentino a pilota dei jet della Marina

di Riccardo Buffetti – È lunga la strada che porta da Capolona, più precisamente dalla località di Giglioni, all’America. È una rotta difficile e piena di insidie, ma questo non ha spaventato Riccardo Ferri, originario del nostro splendido Casentino, che ha voluto fortemente trasformare la passione per il volo, per la guida di aerei, nel suo sbocco professionale. Ci sono voluti anni di abnegazione, sacrifici e duro lavoro, ma alla fine è riuscito a diventare pilota e a volare sopra a tutti i continenti.
«La mia passione nasce con me, in modo assolutamente naturale – ci racconta Riccardo. «Non c’è stato qualcosa che l’ha innescata, ma da che mi ricordo ho sempre avuto questa scintilla per il mondo degli aerei e del volo. Sono rimasto affascinato dalla figura del pilota, perché ho sempre avuto l’idea che racchiudesse un insieme di tutte le qualità che mi piacevano: uomo sveglio, intelligente, pronto fisicamente».

Come hai mosso i primi passi verso il tuo sogno? «Come dicevo prima, ho iniziato ad alzare gli occhi al cielo intorno ai tre/quattro anni e i miei genitori si sono subito accorti di quanto mi brillassero gli occhi ogni volta: mi hanno sempre stimolato e incoraggiato, questo mi ha permesso di alimentare la mia passione. Intorno ai 16-17 anni mio babbo riuscì a farmi prendere il brevetto al piccolo aeroporto di Arezzo e in uno di quei voli, il 3 aprile del 1999, ho capito che era la strada che volevo prendere nella mia vita. Il passo successivo è stato di terminare le scuole superiori ed iniziare ad iscrivermi ai vari concorsi che per me sono stati una grossissima scuola di vita, soprattutto a causa della competizione molto forte. Per superare questi momenti ho sempre cercato di focalizzarmi su pensieri positivi, cercavo già di immaginarmi pilota. Alla fine del 2002, dopo un paio di delusioni piuttosto grandi, riesco finalmente ad entrare in Marina come pilota; la scelta è caduta su quel ramo perché mi affascinava poter volare sul mare e perchè mi avrebbe permesso di viaggiare con più continuità. Il 27 maggio dell’anno successivo sono entrato in accademia navale: un anno di indottrinamento basico, preparazione fisica e qualifica in lingua inglese. Il percorso mi ha permesso nel 2002 di partire per l’America per la scuola di volo».

Sei riuscito a realizzare il tuo “Sogno Americano”? «Sono riuscito a trovarlo e a realizzarlo, ma andiamo per ordine. Una volta in America ho iniziato l’addestramento per diventare pilota: insieme ad altri ragazzi abbiamo dovuto superare test difficili e stressanti. Il primo obiettivo dell’accademia è insegnarti ad essere efficiente fisicamente e mentalmente. Questo creava un rapporto importante con gli americani, venivi trattato esattamente come loro, inglobato nella loro forza armata. Dopo tanti anni, ripensandoci, ti direi che era un rapporto davvero intenso: quei momenti erano talmente pieni e sovraccarichi di emozioni. Ricordo il primo volo in America: mi hanno letteralmente legato al sedile, non potevo toccare nulla, solo osservare con l’istruttore a 600 all’ora! A 20 anni la distanza da casa si è fatta molto sentire, sono stato via anche 14 mesi senza tornare dalla mia famiglia, ho cercato in quei momenti di concentrarmi non su cosa mi mancava, ma su ciò che avevo in quell’attimo, la fortuna di aver raggiunto il mio primo traguardo. Sono stato negli USA per 26 mesi, dove ho vissuto tra la Florida e il Texas volando con aeroplani ad alte prestazioni. Ho molti aneddoti della mia avventura americana, in quei momenti volavamo da soli per il continente, partivamo il venerdì e attraversavamo mezza America, sono state avventure belle ed emozionanti. Mi ricordo gli uragani visti da trentamila piedi: volavamo sopra la North Carolina e si vedeva il Golfo del Messico ricoperto da questo uragano con un temporale gigantesco che arrivava fino alla troposfera; una miriade di colori ci ha avvolto in quell’istante, fu un qualcosa di incredibilmente bello».

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Poi c’è stato il ritorno in Italia… «Sono tornato nella nostra penisola nel 2005, assegnato allo squadrone nella base di Sarzana, vicino La Spezia. Prima di rientrare in Italia c’è stato il mio passaggio dagli aerei agli elicotteri, che in aria non ci vogliono proprio stare! Mi ricordo la difficoltà di tenere questa macchina in cielo, ho impiegato un po’ di tempo per farmela andare bene. A Sarzana ho fatto il passaggio macchina, da pilota di elicottero sono diventato un pilota operativo. È stato un tempo molto impegnativo dal punto di vista dello studio e ho impiegato almeno due anni per apprendere tutto il necessario. Da qui è iniziata la mia seconda vita con gli imbarchi, la vita a bordo di una nave e sono iniziate una serie di missioni durate dal 2006 al 2014 per un’intensa attività operativa. La Marina aveva promesso di farmi vivere un sacco di avventure ed è stata decisamente di parola! Imbarcato su tutte le unità, ho preso parte a missioni in Somalia, intorno all’Africa ho affrontato missioni umanitarie, sono stato in Medio Oriente, Mar Rosso e Golfo Arabico dove, con i miei compagni, facevamo appoggio alla parte mercantile. Una missione poteva durare anche sei mesi! Spesso vivevi più di novanta giorni in mare senza toccare terra e a volte non è facile rimanere lucidi in certe situazioni».

Tra le avventure che hai vissuto, quali ti porti particolarmente dentro? «Beh, il mio lavoro mi ha permesso di visitare dei paesi molto suggestivi, uno di questi è sicuramente l’Afghanistan, dove sono stato un anno con tre schieramenti di supporto: abbiamo salvato un sacco di civili e supportato diversi paesi. Se visti con occhi particolari, puoi scoprire delle meraviglie: montagne rosse e deserti infiniti.
Sotto il profilo umanitario ho partecipato all’operazione “Mare Nostrum”, in quelle situazioni ho visto delle immagini che difficilmente potrò dimenticare, abbiamo portato via tantissime persone in condizioni disperate. Spesso ci siamo lanciati anche oltre i nostri compiti per salvare delle vite».

Poi sei diventato padre e la tua vita è cambiata ulteriormente. «Nel 2016 sono diventato babbo per la prima volta, mentre nel 2018 per la seconda. Ho dovuto rivedere le mie priorità e ho deciso di uscire dal campo delle missioni operative, dedicando il mio lavoro ad altre forme: oltre a fare l’istruttore mi occupo della sicurezza di volo, cerco di rendere il nostro compito più sicuro stimolando i piloti ad essere più coscienti ai pericoli dei tipi di volo. Ho anche riscoperto l’importanza di avere una casa: prima passavo il 90% della mia vita fuori (circa 250 giorni all’anno). Questo mi ha portato anche a scoprire nuove passioni come la fotografia e la montagna. Dopo tanti mesi in mare avevo proprio voglia di ritornare in montagna, visto che le mie origini sono casentinesi. Credo che questo amore sia sempre stato nel mio DNA. Inizialmente ho fatto alpinismo, concedendomi diversi viaggi in solitaria: come quella volta che sono stato in Nepal, alla base dell’Everest. La montagna mi ha poi portato alla disciplina del Trail, passione incredibile che mi ha coinvolto al 100%».

Nelle tue avventure precedenti, hai mai avuto paura che qualcosa andasse storto? «Il concetto di paura è mutato in me negli anni: all’inizio c’è quello dell’inesperienza e della paura di incasinarti, poi si evolve quando diventi esperto ed inizi a capire che le paure sono altre, possono derivare da fuori, da condizioni operative impreviste. Poi in realtà svanisce anche questo con la sovra esperienza dove i timori possono essere altri, come il fidarsi del tuo vicino di guida. E poi ad un certo punto diventi papà, e lì cambia ancora tutto. Quelle sono paure un pochino più paralizzanti: il gioco in alcuni casi non vale più la candela. E l’ho provato alcuni anni fa in un decollo dalla nave quando mi è esploso il motore e siamo quasi finiti in acqua. In realtà sono riuscito a riportare l’elicottero a terra, tutti sani e salvi con una buona dose di fortuna, ma a mente fredda ti si gela il sangue! L’ultimo step delle mie paure è quello di cercare di essere più cosciente dei rischi e riuscire ad anticiparli, poiché tanti possono essere evitati alla radice».

Cosa ti aspetti dal tuo futuro professionale? «Come prima ho anticipato, ora sono istruttore e ufficiale di sicurezza volo, quindi nel futuro mi piacerebbe passare alla parte dei collaudi, vista la mia grande esperienza. Vorrei diventare collaudatore per lavorare in prima persona sulle macchine per renderle sempre più sicure, efficienti e idonee al tipo di servizio. Sono anche un promotore dell’automiglioramento: credo molto alla meditazione e alle discipline di questo genere. Vorrei far capire alle persone come i pensieri creano la realtà e come i limiti appartengano ad essa, da noi creata. Con i progetti che sto portando avanti mi piacerebbe lanciare un messaggio: curando i pensieri e se stessi si possono eliminare queste limitazioni da noi imposte. Un po’ tutto il mio percorso si basa sul focalizzarsi sulla positività, questo mi ha aiutato a superare la lontananza da casa, la durezza di vivere su una nave, gestire situazioni al limite. In realtà c’è una chiave per vedere il bicchiere sempre mezzo pieno, ed è una volta scoperta che viene fuori il meglio di te».

(tratto da CASENTINO2000 | n. 316 | Marzo 2020

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