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domenica, 24 Novembre 2024

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Ripartiamo anche dal ferro

di Mauro Meschini – Anno dispari, anno della Biennale d’Arte Fabbrile a Stia. Fino allo scorso anno era così, ma dal 2020 molte cose sono cambiate e tutti sappiamo a quanto è stato necessario rinunciare. Per questo la tradizionale manifestazione che si è tenuta nell’alto Casentino quest’anno assume un’importanza forse maggiore, perché ha permesso di rinnovare una tradizione che è ormai un patrimonio comune, un segnale positivo dopo tante difficoltà. Ci è sembrato che anche questo messaggio fosse presente nell’incontro che abbiamo avuto con la presidente della Biennale d’Arte Fabbrile Maria Gemma Bendoni che, a nome dei circa 60 soci volontari dell’associazione e di tutti coloro che hanno contribuito con il loro impegno alla realizzazione della manifestazione, ci ha aiutato a comprendere meglio il lavoro che ha accompagnato per mesi la complicata fase di preparazione.

Sono disponibili dei dati e delle cifre che possono permettere di fare un confronto con le edizioni precedenti?
«Non è semplice dare delle cifre perché, non prevedendo biglietti, i dati relativi alle presenze sono difficili da calcolare. Quest’anno però avendo utilizzato il braccialettino del green pass abbiamo almeno una base di riferimento e sappiamo che sono stati utilizzati circa 9.000 braccialettini, a cui poi si potrebbero aggiungere le altre persone che erano presenti ma che non sono entrate né nello spazio esposizione al lanificio né nell’area destinata al pubblico di fronte alla forgiatura. I numeri penso che siano stati inferiori a quelli della scorsa volta anche perché i partecipanti sono arrivati principalmente dall’Europa: dalla Francia, dalla Spagna, dal Belgio, dall’Austria, dalla Germania, dai vari paesi dell’est. Sono mancati completamente gli inglesi, probabilmente per alcune loro regole particolari e anche perché con la Brexit la situazione è un po’ cambiata, e sono mancati tutti coloro che sarebbero arrivati dagli altri continenti, abbiamo avuto solo la presenza di un giapponese, che tra l’altro ha anche vinto un premio. Se poi parliamo dei visitatori devo dire che sono stati veramente tanti, soprattutto il sabato e la domenica non ci aspettavamo una così alta partecipazione. C’è da dire che, soprattutto il giovedì, giorno dell’inaugurazione, è comunque una giornata principalmente dedicata agli impegni istituzionali a cui quest’anno abbiamo avuto l’onore di vedere la presenza del Prefetto di Arezzo che si è dimostrata molto interessata e positivamente colpita dal nostro paese».

Tornando invece indietro, come è andata la preparazione, quando avete deciso di partire veramente e ci sono stati dei momenti in cui avete invece pensato di lasciare perdere?
«Di momenti ce ne sono stati molti, con alti e bassi. Abbiamo iniziato a riunirci all’inizio dell’anno orientati a organizzarla, ma anche consapevoli che in quel momento non eravamo in grado di prendere una decisione definitiva. Abbiamo continuato a incontrarci, ma ci chiedevamo cosa potevamo comunque fare in quei momenti, cosa avremmo potuto riuscire a realizzare e come. Alla fine abbiamo deciso di provare ad andare avanti organizzando, escluso alcune piccole cose, tutto quello che era sempre stato fatto per avere comunque una nostra idea di programma da adattare eventualmente alle condizioni che si sarebbero presentate. In realtà la decisione di andare avanti e di partire veramente è arrivata nel momento in cui abbiamo iniziato a prendere contatti e impegni con i vari soggetti con cui ogni volta ci rapportiamo, prendere impegni e firmare contratti ha rappresentato oggettivamente il punto di non ritorno, non realizzando la Biennale non avremmo potuto avere le sovvenzioni concordate con i privati e gli Enti pubblici e il rischio era di ritrovarsi con una non indifferente massa di debiti e con niente in mano. Comunque i dubbi sono rimasti anche dopo perché c’erano continui timori su cosa e quanto avremmo potuto davvero proporre».

Da questo punto di vista quali sono le criticità più grosse che avete incontrato?
«Sostanzialmente si tratta di un paio di iniziative collaterali alla mostra che si sono comunque totalmente eliminate. Per esempio la serata di festa dei fabbri con la discoteca è stata fin dall’inizio completamente esclusa. Stessa cosa è successa per il pranzo che veniva tradizionalmente organizzato dopo l’inaugurazione per gli invitati e i volontari. Un appuntamento rivolto a circa 350 persone che abbiamo ritenuto opportuno non prevedere questa volta. Per il resto siamo sempre andati avanti pensando di fare tutto quello che la manifestazione prevede adeguandolo alle regole che ci sono state indicate. Così è stato possibile proseguire anche se le ultime norme e prescrizioni le abbiamo avute solo ad agosto, in quel momento abbiamo definito, con l’aiuto di un tecnico, il piano Covid. Abbiamo investito molto in sicurezza quest’anno, è stato l’investimento maggiore».

Quindi anche l’ingresso con il green pass al lanificio e alla forgiatura è stato previsto per adeguarsi alle norme, anche per avere uno strumento di controllo più snello?
«Si, è stato dovuto alle regole Covid. L’ingegnere che ci ha seguito per il piano di sicurezza e la ditta che ha predisposto la sicurezza Covid hanno esaminato le caratteristiche della manifestazione e proposto gli interventi e le modifiche necessarie. Per esempio abbiamo deciso di non montare la tribuna di fronte alla forgiatura perché avremmo dovuto disinfettarla e sanificarla continuamente e questo non era possibile. Già è stato complicato controllare i green pass, è stata vincente l’idea di utilizzare il braccialetto perché ci ha permesso di controllare le persone solo una volta, anche se si presentavano in più occasioni agli ingressi. Ora possiamo dire, a quindici giorni dalla chiusura della manifestazione che è andata bene, non abbiamo provocato danni alla nostra comunità, che era la cosa a cui tenevamo in maniera particolare…»

Il pericolo poteva essere quello…
«Anche quello è stato nei nostri pensieri. Siamo una piccola comunità, in questa valle in cui siamo relativamente pochi, con tanti anziani… arrivando così tante persone era necessario stare attenti. Ci piace molto fare questa festa, siamo legati ad un appuntamento che si ripete da più di quarantacinque anni, però non volevamo portare problemi alla nostra comunità. Gli scopi della Biennale sono altri: aiutare i fabbri a mantenere il loro lavoro e la loro tradizione, continuando a fare quello che i loro padri e nonni avevano imparato a fare; avere possibilmente una scuola che porti avanti questa tradizione perché è sempre più complicato imparare nelle botteghe; aiutare non solo Pratovecchio Stia ma tutta la vallata ad essere conosciuta, perché pensiamo che il Casentino meriti di più, molto di più di quello che ha perché è molto bello, ha tanti tesori e qui le persone sono disposte a mettersi a disposizione e fare tanto volontariato, cosa che non è così comune. Lo abbiamo imparato dagli stranieri che incontriamo ogni volta che spesso ci chiedono come riusciamo a fare tutto questo e a mobilitare tante persone in un impegno a favore della collettività. In particolare quest’anno tutto ciò è stato fondamentale, davvero abbiamo chiamato tutti quelli che potevano essere disponibili, anche per il lavoro aggiuntivo che il controllo dei green passa ha richiesto, nessuno di quelli che ho chiamato mi ha detto di no, tutti nel limite delle loro disponibilità hanno voluto dare una mano».

A proposito di questo aspetto del volontariato impegnato nella Biennale, come avete organizzato tutta la parte della ristorazione che poteva rappresentare un aspetto di particolare criticità?
«Abbiamo avuto tanti dubbi, è stato uno degli aspetti su cui abbiamo avuto i maggiori perplessità, per fortuna abbiamo avuto la presenza di Monica Fochi che si è impegnata particolarmente su questo mantenendo un contatto costante con il tecnico della sicurezza. Molti in fase di preparazione avevano proposto di non organizzare il villaggio gastronomico, ma quando questo paese si riempie di persone, come è accaduto anche questa volta, i ristoranti non riescono a rispondere tutte le richieste. C’è da considerare che il villaggio gastronomico in genere riesce a servire 2.000/3.000 pasti. Come sarebbe stato possibile rispondere a questa domanda? Quindi alla fine abbiamo dovuto provare e adeguarci anche se in fondo è stato il servizio che ha avuto le normative meno rigide di altri luoghi perché essendo ristorazione all’aperto è stato sufficiente seguire alcune regole, come la dovuta sanificazione e un percorso definito per l’accesso e l’uscita».

Per quanto riguarda l’aspetto espositivo vero e proprio al Lanificio come è stata organizzata?
«Quest’anno non abbiamo previsto stand e non abbiamo neppure fatto specifiche richieste agli espositori. gli abbiamo invitati a portare quello che ritenevano più importante e interessante lasciando la possibilità di un’esposizione libera. Da questo punto di vista possiamo forse dire che con il tempo il livello delle opere proposte sta crescendo e si caratterizzano sempre di più per il loro valore artistico. Con il mercatino che adesso proponiamo offriamo però comunque uno spazio per trovare anche oggetti più piccoli e di uso quotidiano che possono attrarre un po’ tutti».

Conclusa un’altra Biennale si guarda alla prossima e si apre un periodo di due anni in cui cosa possiamo trovare? Per esempio lo spazio espositivo al lanificio propone una parte di ciò che viene realizzato, come potrà crescere?
«In quello spazio si trova il meglio di quello che è stato fatto nelle edizioni precedenti. Sicuramente le opere di tutti i premiati più una selezione delle migliori, poi ne abbiamo tante altre conservate…».

Un po’ come accade per gli Uffizi…
«Si, anche noi abbiamo i nostri magazzini. Fino ad ora questa era un’esposizione che veniva aperta su richiesta da noi volontari in casi particolari come le visite delle scuole. Ora tutto quell’ambiente diventare un polo museale in cui si entrerà pagando un unico biglietto, sarà possibile visitare il Museo della Lana e si proseguirà visitando il Museo del Ferro Battuto, grazie all’accesso interno che è stato aperto. Da considerare che al piano superiore si trova uno spazio analogo luminosissimo in cui ci sono ancora alcuni lavori da realizzare…».

Quindi ci potrebbe essere un ulteriore ampliamento?
«Ci potrebbe essere un ulteriore sviluppo, che noi possiamo proporre, ma poi tutto dipenderà dalla volontà dell’Amministrazione. Intanto avremo l’apertura di questa prima parte e l’avvio del polo museale in uno spazio che è veramente ben gestito e che ha riportato in vita un luogo che ha un grande significato per il paese di Stia».

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