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domenica, 27 Aprile 2025

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Rugby in Casentino

di Riccardo Buffetti – Ad Arezzo esiste ormai da diversi anni una realtà consolidata per la disciplina sportiva del rugby, il “Vasari Rugby Arezzo”, che negli anni ha cercato di infondere i valori dello sport nei piccoli di Arezzo e provincia. Nel 2016 Don Samuele, parroco di Poppi e Marco Bargagni, ex giocatore del Volvera Rugby di Torino, insieme ad alcuni affezionati si sono posti un quesito interessante: perché non portare ai ragazzi più giovani di Poppi e del Casentino questa disciplina? La proposta ha portato da subito entusiasmo in paese e tra i più piccoli.

Marco Bargagni, quattro anni fa avete mosso i primi passi per poter realizzare la vostra idea. In che modo è stata accolta allora e quali risultati avete raggiunto, ad oggi?
«Tutto è nato per gioco insieme a Don Samuele, quando durante i centri estivi ci siamo chiesti perché non fare approcciare i ragazzi anche al rugby, sport da sempre ricco di valori. L’entusiasmo ci ha spinto a muovere i primi passi e a coinvolgere da subito il Vasari Rugby Arezzo, società molto attiva e sempre attenta alla propaganda Rugby nel nostro territorio, la quale ha accolto con il nostro stesso fervore l’iniziativa. Successivamente abbiamo cercato tramite Open Day e giornate in condivisione dei centri estivi di far conoscere questo sport tramite il supporto dei tecnici del Vasari e di un allenatore della FIR (Federazione Italiana Rugby), Enrico Romei, dedito alla diffusione del rugby per la regione Toscana, che hanno portato le loro esperienze al servizio dei più piccoli. Abbiamo cercato un approccio con le scuole elementari e lo abbiamo trovato inizialmente con le classi quarte e quinte dell’Istituto Comprensivo di Poppi, sia per l’età sia per la necessità di lavorare sul gruppo classe: abbiamo cercato di superare alcune leadership e promosso il gioco di squadra, includendo bambine e bambini con attitudini diverse, creando sinergie tra ragazzi che in alcuni casi tendevano ad escludersi. Inizialmente ci siamo orientati verso i ragazzi tra i 10-11 anni, in seguito ci siamo resi conto, anche dietro consiglio di Enrico, che era necessario partire dai più piccoli, 4-8 anni, per ottenere un riscontro più ampio: hanno una grandissima voglia di praticare questa attività che risulta loro immediata. È un’età che ci permette di lavorare facilmente con gruppi misti, bambine e bambini, obiettivo a cui puntiamo molto proprio per il valore aggiunto che portano le diverse sensibilità in gioco. Ci auguriamo di poterlo sperimentare il più possibile con tutti i ragazzi proprio per cercare di far gruppo. Come tutte le novità, se inizialmente sono aiutate dalla curiosità, dopo faticano a creare una continuità, soprattutto in luoghi in cui questo sport non si è mai diffuso. A Bibbiena c’è stato negli anni passati il tentativo da parte di alcuni giovani di creare una squadra, i “Barbarians”, che attualmente vivono un momento di stasi, ma auguriamo loro una futura ripresa. Per quel che riguarda la nostra esperienza con i rugbisti in erba non c’è stato il riscontro inizialmente sperato, ma non ci siamo arresi! Sono trascorsi circa quattro anni e andiamo ancora avanti: nei primi due è stata veramente dura, adesso ci stiamo togliendo qualche soddisfazione».

Da quali e quanti componenti è composta la vostra “squadra”?
«Oltre a me e Don Samuele, promotori iniziali dell’iniziativa, ci sono con noi Kassandra e Daniele che seguono la parte motoria e tecnica dei bambini, insieme ad altre persone che per motivi di lavoro non possono essere sempre presenti. Per quanto riguarda, invece, i piccoli giocatori sono dodici di cui sette tesserati. Ovviamente siamo sempre appoggiati dal Vasari Rugby, ma non nascondiamo che la nostra più grande aspirazione in un futuro, speriamo non molto lontano, sia quella di camminare con le nostre gambe per trasmettere i valori del rugby ai giovani; al momento abbiamo bisogno di un supporto forte per crescere. A tal proposito abbiamo uno sponsor “ARREDOLEGNODESIGN” di Rimbocchi, che sin dall’inizio ci ha sostenuto e ha creduto in noi e in questo sport quale valore aggiunto per i nostri figli permettendoci di portarlo avanti».

Cosa prevede la vostra fase di lavoro con i bambini?
«Con i bambini cerchiamo di lavorare in tutte le situazioni per far esprimere al meglio le loro attitudini, principalmente vogliamo infondere i valori di questa disciplina che, presupponendo il passaggio della palla indietro, insegna il sostegno in primis: sei te, con il tuo ovale stretto tra le braccia, che conquisti metri per portarlo avanti; sono i tuoi compagni che, con il loro sostegno, ti permettono di avanzare e nel momento in cui la stretta dell’avversario si fa difficile accolgono il tuo passaggio per continuare a tenere viva quella palla e permetterle di arrivare in meta. L’altruismo qui è fondamentale. Cerchiamo da subito di portare al ragazzo il rispetto dell’avversario, da soli non si può giocare, questo è prioritario tra i compagni di squadra e la controparte. Abbiamo il placcaggio: possiamo definirlo come un gesto atletico che ricorda un abbraccio deciso che ci consente di fermare i giocatori dell’altra squadra, è quindi fondamentale lavorare sull’affettività e sul contatto con la persona fisica e con il terreno. Il luogo comune attribuito al rugby è quello di uno sport violento, mentre invece è ben altro per chi è in campo. L’affettività che viene espressa in modo più immediato dalle bambine, molto più facilitate in questo rispetto ai maschietti, la necessità e il bisogno urgente di doversi aiutare gli uni con gli altri fa del rugby uno strumento incredibile per lavorare sull’aggregazione dei più piccoli. Crediamo fortemente nei gruppi misti, perché portano sensibilità e ricchezza diverse all’interno di essi. Ci sono molte sfaccettature nel rugby che ti permettono di incontrare caratteri e fisici diversi (il lento, il veloce, l’altruista, lo scaltro, ecc.), ma la sua bellezza è proprio questa: tutti possono collaborare per creare gioco e l’inclusione è una delle prerogative principali. Nella vita questi valori e questi bisogni li ritroviamo spesso, quello di non ritrovarsi soli, quello di non escludere chi ha attitudini diverse, qui lo si impara giocando. Un bellissimo esempio recente riguarda un nostro piccolo atleta che è dovuto stare a casa per qualche settimana, quando lo abbiamo chiamato le sue prime parole sono state: “Non vedo l’ora di tornare a salutare i miei amici”. È stata una frase meravigliosa, perché ti rendi conto di quanto il gruppo sia un riferimento importante: la voglia di ritrovare i compagni di squadra, il desiderio di stare insieme sono la gioia e la funzione del tuo lavoro che vedono l’efficacia del risultato, questo ci dà quell’energia necessaria per continuare».

Poi è arrivato il Covid-19: come avete affrontato le difficoltà emerse dalla diffusione del virus?
«Sicuramente è un periodo duro per gli sport di contatto, ma per fortuna gli allenamenti si svolgono all’aperto. Per far fronte alla situazione Covid, stiamo adottando alcune precauzioni volte a mantenere le distanze di sicurezza, elaborando esercizi dedicati soprattutto alla psicomotricità con palla ovale, all’equilibrio e al contatto con il terreno (capriole, ruote e preparazione alle cadute), che sono fondamentali per un buon approccio al rugby, escludendo il contatto fisico».

In conclusione, cosa si aspetta per il futuro di questa attività?
«Cercheremo di portare avanti il gruppo e di farlo crescere. Ciò che ci aspettiamo di più nei prossimi anni è di continuare a fare divertire giocando con la palla ovale, convinti che sia un valore aggiunto per i piccoli che cresceranno. Ci piacerebbe che i ragazzi passati attraverso l’esperienza del rugby potessero rivedersi nel pensiero di Mirko Petternella: “adesso so che quando si avanza uniti ci sono possibilità di successo. Adesso so che cosa vuol dire rispettare un avversario che è a terra. Adesso so che potrò cadere e perdere il pallone, ma un compagno sarà pronto a raccoglierlo per me. Adesso so che si può anche perdere, ma non ci si deve mai arrendere. Adesso so che correre non vuol dire scappare, ma andare incontro al futuro. Adesso so che affrontare la vita sarà un gioco da ragazzi e che se la vita è un gioco, il rugby è una gran bella maniera di viverla”».

(tratto da CASENTINO2000 | n. 324 | Novembre 2020)

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