di Mauro Meschini – Come potremmo non dare l’apertura di questo articolo, dedicato alla situazione sanitaria in Casentino e in Toscana, a un comunicato della Regione che, ad ottobre, ha riunito direttori generali delle Asl, parlamentari, consiglieri regionali forze sociali e rappresentanti del mondo dell’associazionismo proprio per parlare di sanità pubblica?
Sarebbe impossibile anche non ricordare i due disegni di legge, uno del gruppo consiliare PD e uno della giunta regionale che puntano a «dare certezza al finanziamento del fondo sanitario, farlo crescere e portarlo almeno su valori pari alla media europea». Poi doveroso riportare alcune delle dichiarazioni del presidente della Regione Eugenio Giani sul tema: «La sanità pubblica universalistica ha bisogno di più risorse per garantire risposte adeguate ai bisogni della popolazione, che peraltro invecchia e dunque ha maggiori necessità. La proposta è portare strutturalmente dal 6,45 al 7,5 per cento del Pil, con aumenti progressivi nei prossimi cinque anni, il finanziamento annuo statale del Servizio Sanitario Nazionale: circa quattro miliardi di euro in più ogni anno, da 128 miliardi a disposizione ora nel 2023 ad oltre 149 miliardi nel 2027. Se non si aumentano le risorse del fondo, con l’inflazione che galoppa, di fatto è come averlo tagliato».
Infine necessario non dimenticare quanto affermato dal capogruppo PD in consiglio regionale Vincenzo Ceccarelli: «Quella di oggi è stata sicuramente una buona iniziativa: un confronto utile, importante, necessario. Perché quella dell’aumento delle risorse per la sanità pubblica non è una battaglia di una parte, ma deve essere l’obiettivo di tutti. Basta con la discrezionalità: il fondo sanitario nazionale deve avere un minimo fissato dalla legge in grado di metterci al pari dei paesi europei più avanzati…».
Non ci soffermeremo qui più di tanto a ricordare agli stessi che ora sostengono con vigore la sanità pubblica quanto hanno deciso, legiferato e previsto dal 2015 in poi proprio su questo tema. Con tagli significativi alle risorse, accorpamenti assurdi di territori, chiusura di reparti, riduzione del personale sanitario. Non sappiamo cosa adesso abbia portato a questa «conversione», ci sarebbe da augurarsi che la dura esperienza della pandemia abbia messo un po’ di paura e insegnato qualcosa, oppure, come capita, si tratta in realtà solo di parole al vento che si dicono perché adesso a dare le carte c’è il centrodestra, che in quanto a tagli e ridimensionamenti in sanità non è certo secondo a nessuno.
Ma lasciando da parte le beghe e le strategie della politica, il tema resta comunque assolutamente attuale aggravato anche da un oggettivo problema che sta emergendo con prepotenza in questi ultimi anni: si fatica a trovare il personale sanitario disposto a ricoprire posti all’interno delle strutture pubbliche. Questo problema, probabilmente impensabile fino a pochi anni fa, rende ancora più complessa la situazione.
Vengono previsti bandi di concorso per varie figure professionali, ma succede che in alcuni casi i partecipanti siano addirittura meno dei posti disponibili, anche per i percorsi di formazione rischia di verificarsi questo e, comunque, vediamo a volte che in presenza di vistose carenze di personale non si utilizzano le graduatorie da cui sarebbe possibile attingere nuove risorse.
Il nostro territorio e l’ospedale di Bibbiena sono lo specchio delle criticità della situazione che si sta vivendo. I due reparti principali che sono adesso presenti, chirurgia programmata e medicina, vedono una situazione in cui spesso emergono difficoltà e criticità, anche quando si introducono cambiamenti che dovrebbero portare, apparentemente, dei benefici.
Un esempio possono essere gli intereventi urologici che adesso sono possibili anche all’ospedale del Casentino. Una notizia positiva, ma, purtroppo, l’organizzazione complessiva della chirurgia non è stata potenziata e gli spazi non hanno visto ampliamenti così che, nei fatti, i pazienti che si sottopongono a interventi di urologia, prendono il posto di altri che si devono spostare in altre strutture ospedaliere o aumentare il tempo di attesa.
Più o meno per gli stessi motivi, la mancanza di personale, nel periodo estivo la chirurgia è stata spostata al secondo piano dell’ospedale di Bibbiena con medicina, questo per ottimizzare l’utilizzo del personale e permettere a tutti di avere un minimo periodo di ferie. Ora immaginiamo che non sia stato semplice spostare un intero reparto e, allo stesso tempo, quanto probabilmente sia stato pesante dover gestire una situazione in cui necessità diverse convivono in spazi adiacenti. Ci viene da dire che per il personale sanitario quei giorni di ferie siano stati veramente sudati perché l’impegno e la fatica necessari per affrontare le settimane di lavoro devono essere stati notevoli.
Arrivando poi al mese di settembre sembrava che fosse possibile, una volta riaperta la chirurgia al primo piano, ampliare i posti letto da 12 a 20 per spostare a Bibbiena, dall’ospedale di Arezzo, alcuni altri interventi, probabilmente quelli di otorino laringoiatria. Una opportunità che però sembra sfumata nelle ultime settimane, ma non si riesce a comprendere per quali motivi.
Oltre a questo mancato potenziamento l’ultimo periodo ha visto la Dott.ssa Alessandra Bichi lasciare il suo posto, non possiamo sapere i motivi di questa scelta ma sicuramente si tratta di una perdita importante per il nostro ospedale. Preso atto di quello che non arriverà e di quello che è stato perduto sembra rimangano difficoltà nello svolgimento del lavoro in particolare degli operatori socio sanitari, figura fondamentale all’interno dei reparti. Sembra che i numeri e, probabilmente ancora di più, la volontà della dirigenza, non permettano di organizzare il sevizio in modo da avere anche la notte la loro presenza. Un OSS presente nelle ventiquattro ore garantirebbe a medicina, dove invece si prevede solo il turno diurno con la notte lasciata all’infermiere, un servizio migliore e alleggerirebbe il lavoro per l’unico operatore che da solo deve ogni volta seguire anche più di dieci pazienti.
La situazione appare complicata anche dalla mancata positiva integrazione tra il reparto di medicina e i posti riservati al modulo di continuità assistenziale (MoDiCA) che dovrebbe essere gestito dal territorio e quindi vedere la presenza di operatori, anche in questo caso OSS, inviati dalle strutture esterne all’ospedale. In realtà questo spazio, in cui vengono accolti i pazienti che una volta dimessi non possono immediatamente tornare a casa, non vede il necessario supporto proprio del territorio creando un ulteriore carico di lavoro per il personale dell’ospedale.
La continuità assistenziale dovrebbe essere una parte fondamentale della nuova organizzazione che si dice di voler dare alla sanità, insieme alle case di comunità, le case della salute e via dicendo. Ma qui adesso c’è un problema che dovrebbe essere risolto velocemente anche perché il personale all’interno dell’ospedale di Bibbiena, già sotto organico e sottoposto ad un lavoro pesante e stressante, rischia di vedere un’ulteriore riduzione dovuta a richieste di trasferimento o dimissioni che potrebbero portare ulteriori gravi difficoltà al funzionamento dei reparti e dei servizi. Ora se questo accadesse i problemi maggiori ricadrebbero naturalmente sui pazienti che non vedrebbero garantito il loro diritto alla cura.
In attesa dei disegni di legge e delle decisioni di cui abbiamo parlato all’inizio dell’articolo ci sono scelte da fare adesso che non possono più essere rimandate, sarebbe importante se proprio chi ricopre incarichi in Regione si preoccupasse di sollecitare assunzioni e adeguamenti del numero del personale all’interno dell’ospedale di Bibbiena e una diversa organizzazione delle risorse a disposizione del territorio. Ci sono graduatorie da cui è possibile attingere nuove risorse e tra l’altro, ritornando a quanto dicevamo per la presenza degli operatori socio sanitari in medicina, si deve ricordare che, negli altri reparti, sempre di medicina, degli ospedali della zona sanitaria Sud-est è presente un OSS anche la notte, perché a Bibbiena deve essere diverso?
Intanto già si iniziano a vedere gli effetti delle difficoltà che si registrano da tempo all’interno del Pronto Soccorso del Casentino dove gli accessi sono progressivamente diminuiti, non per minori necessità, ma per la diffidenza verso un servizio che non è sempre in grado di offrire la necessaria assistenza. Ad oggi la presenza dell’automedica è garantita solo di notte, mentre nel turno 8-20 ci sono le ambulanze con un infermiere. Tra l’altro l’infermiere deve spostarsi nella postazione dell’ambulanza di turno mentre se l’ambulanza fosse prevista presso l’ospedale lo stesso infermiere, in attesa di chiamata, potrebbe essere di supporto al Pronto Soccorso. Oppure si potrebbe prevedere anche di giorno l’automedica, ma con un infermiere ed un OSS, sarebbe comunque un supporto ulteriore ai volontari dell’ambulanza che partirebbe dalla sua sede. Tutto questo, allargando lo sguardo oltre il nostro territorio, rischia di portare un carico maggiore verso il Pronto Soccorso di Arezzo che rischia la saturazione.
Insomma sembra che poco sia cambiato, purtroppo, si parla molto ma nei fatti il rischio di vedere declassata la sanità pubblica è sempre drammaticamente presente.