di Mauro Meschini – Come possiamo non inaugurare questo nuovo spazio proposto dal giornale senza provare a parlare della grave situazione che si sta vivendo ormai da due mesi?
Una catastrofe potenzialmente più grande ha praticamente preso il posto di una calamità sanitaria e di un’emergenza socioeconomica, che hanno messo e continuano a mettere il pianeta all’angolo da un tempo che pare infinito.
Come fare a non parlarne? Abbiamo deciso di farlo cercando di limitarci nell’aggiungere altre parole e argomenti ai tanti commenti e giudizi che si rincorrono fin dall’inizio delle ostilità, dando vita ad un bombardamento parallelo a quello che drammaticamente si è abbattuto e si sta abbattendo su centinaia di migliaia di persone.
Quello che sta accadendo non è troppo diverso da quello che stava già accadendo in altre parti del mondo proprio in questo nostro tempo, e probabilmente non è così tanto diverso da quello che nei secoli è accaduto in tanti territori diversi.
Se ci sono elementi di continuità nella storia dell’umanità, bene uno di questi pensiamo sia proprio la guerra, nelle sue diverse declinazioni, espressioni, forme e rappresentazioni.
Tanti modi diversi per fare la stessa cosa e per produrre le stesse conseguenze: dolore, sofferenza, morte, rancore, rabbia, violenza, sete di vendetta…
Tanto si è già detto, scritto, disegnato e realizzato su questo “frutto avvelenato” della storia umana, così tanto che non ci sarebbe forse bisogno di aggiungere troppo altro, sarebbe forse più importante andare a rileggere, riascoltare, riguardare quanto è stato prodotto in seguito alla tragicità di tante vicende belliche.
“[…] Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s’ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d’una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d’assassini
che c’insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse. […]”
Trilussa (da La ninna nanna della guerra – 1914)
Era il 1914, l’anno in cui Trilussa scriveva il testo di questa canzone, riproposta decenni dopo anche da Claudio Baglioni. Era il 1914 ma anche solo facendo riferimento a questa parte dell’intero testo, sembra si tratti di un pezzo scritto oggi, i protagonisti ci sono tutti: burattini e burattinai sono al loro posto, con fatti, cause e conseguenze ben evidenziate.
Sembra dipinta oggi anche la celebre opera di Pablo Picasso che riproponiamo in questa pagina. “Guernica”, realizzato in soli due mesi nel 1937 ed esposto nel padiglione spagnolo nell’esposizione universale di Parigi, potrebbe chiamarsi anche “Bucha”, “Mariupol”, “Grozny”, “Aleppo”, “Coventry”, “Sanaa”… in ognuno di questi, e purtroppo in tanti altri luoghi, un militare incauto che chiedesse all’autore: «Avete fatto voi questo orrore, maestro?» si sentirebbe rispondere: «No, l’avete fatto voi».
In piena guerra fredda e con il ricordo ancora nitido delle atomiche sganciate dagli americani sulle città giapponesi di Hiroshima e Nagasaky, fu un parroco di campagna, insieme ai ragazzi della sua scuola di Barbiana, a scrivere: «[…] Abbiamo dunque preso i nostri libri di storia (umili testi di scuola media, non monografie da specialisti) e siamo riandati cento anni di storia italiana in cerca d’una «guerra giusta». D’una guerra cioè che fosse in regola con l’articolo 11 della Costituzione. Non è colpa nostra se non l’abbiamo trovata.[…]».
Se Don Lorenzo Milani non ci avesse lasciato e avesse ancora la possibilità di fare questa ricerca probabilmente arriverebbe alle stesse conclusioni… cambiano i tempi, cambiano le armi, che diventano sempre più tecnologiche e letali, ma non cambiano i motivi che portano a costruirle, commercializzarle e usarle…
Forse anche l’incredibile evoluzione tecnologica delle armi portò, non troppi anni fa, Gino Strada a pronunciare una frase anch’essa drammaticamente attuale: «Se l’uomo non butterà fuori dalla storia la guerra, sarà la guerra che butterà fuori dalla storia l’uomo».
Si potrebbero proporre tante altre parole e immagine, ma non crediamo che sia la quantità che deve avere un peso determinante, una sola frase di buon senso dovrebbe avere la precedenza assoluta sulle troppe certezze da salotto televisivo. Dobbiamo sperare e pensare che sarà così.
L’immagine di quelle due donne, così incredibilmente simili da sembrare davvero sorelle, che per la ferma volontà di Papa Francesco hanno incrociato le loro mani e i loro sguardi, nella notte del Venerdì Santo, sul legno di una croce, ci porta a pensare, al di là del proprio credo religioso o meno, che le donne e gli uomini di buona volontà possono scrivere e colorare un’altra storia.