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domenica, 24 Novembre 2024

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Studiare serve a lavorare?

di Sefora Giovannetti – Non mancano oggigiorno interviste a personaggi che asseriscono l’inutilità di andare a scuola. Questi soggetti sostengono che si sono fatti da soli senza alcun aiuto. Andiamo ad analizzare la questione. Mi sembra inopportuno generalizzare le affermazioni, specialmente questa che può essere vera solo per una limitata percentuale di persone. Ricevere un’educazione equa può rappresentare per alcuni l’unica possibilità di affrancarsi da una condizione di partenza svantaggiata sia dal punto di vista economico che culturale.

Grazie alla scuola alcuni bambini che vivono situazioni precarie e senza risorse possono scoprire passioni e attitudini che altrimenti non avrebbero potuto riconoscere. È vero che tanti sostengono come l’istruzione non abbia inciso nella loro capacità di trovare un buon lavoro, ma dobbiamo scindere quelle che sono le occasioni dalle creazioni di opportunità. L’istruzione, è vero, non garantisce un’occupazione sicura, né è detto che chi non ha terminato gli studi non sia in grado di sviluppare una propria attività. Ciononostante è innegabile che la scuola fornisca una serie di possibilità. Ovvio che non sapremo se queste verranno sfruttate tutte o solo in parte, di sicuro all’occorrenza saranno a disposizione di chi ne avrà bisogno. È fondamentale, in un Paese non arretrato, che di ciò beneficino tutti, soprattutto chi proviene da situazioni svantaggiate e abbia il legittimo desiderio di migliorare la propria condizione.

Per questo è importante impegnarsi nel fornire una scuola che abbia un livello buono e che stanzi delle quote di denaro da investire nei vari gradi scolastici: non solo per la secondaria di secondo grado, ma anche per l’infanzia, la primaria e la secondaria di primo grado. È importante che gli istituti scolastici non solo preparino gli alunni alla loro vita e quindi li indirizzino nel mondo del lavoro, ma sappiano garantire importanti servizi anche per le famiglie. Pensiamo al tempo pieno che permette ai genitori lavoratori una buona collaborazione, oppure l’organizzazione di mense. In generale ogni Paese dovrebbe destinare dei soldi per il ripristino, il mantenimento e lo sviluppo delle infrastrutture scolastiche, per rendere decoroso il luogo in cui si studia, per poter creare luoghi adatti a svolgere lo sport a scuola o per creare laboratori di vario tipo. Molti investimenti vengono dedicati alle scuole superiori anche se, osservando bene, una volta arrivati alla scuola superiore le disuguaglianze tra allievo e allievo sono difficilmente superabili: tra coloro che provengono da un contesto di origine svantaggiato, ma abbiano un alto rendimento, solo 6 su 10 si aspettano di conseguire un titolo oltre il diploma (rispetto ai 9 su 10 di quelli che provengono da un contesto avvantaggiato).

Non mancano le ripercussioni sulle aspettative di carriera e sugli stereotipi di genere: solamente 1 ragazzo su 4 e 1 ragazza su 8 provenienti da contesti svantaggiati, ma con buoni risultati in matematica e scienze, prevedono di lavorare come ingegnere o professionista delle scienze. Investire sui primi cicli di scuola, invece, significa investire sui cicli futuri. Investire quindi sull’infanzia, ma anche sul nido permette di avere una buona probabilità di abbassare di molto la possibilità che si creino disuguaglianze successivamente.

Per quanto riguarda questi primi anni di scuola in Italia non va malissimo, ma si può migliorare. La nostra percentuale di bambini e bambine con basse competenze in lettura è del 13,2% e siamo settimi in Europa relativamente al divario tra chi ha buoni e chi ha scarsi risultati. Nelle competenze in matematica l’Italia se la cava peggio che nella lettura con oltre il 30% di studenti con scarsi risultati ed è all’undicesimo posto in Europa per divario. Un possibile approccio per misurare l’efficacia e il grado di inclusività di un sistema educativo consiste nel considerare due dati, la percentuale di studenti con risultati scarsi e il divario di rendimento tra questi e gli studenti con alti risultati. Secondo questo approccio, laddove c’è una minore percentuale di bassi rendimenti e, contemporaneamente, un minore gap tra gli allievi più e meno “performanti”, il sistema educativo è più efficace e inclusivo.

SCUOLA SOCIETA’ sognando futuri possibili è una rubrica a cura di Sefora Gioavannetti e Mauro Meschini

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