di Francesca Maggini – Fin dall’antichità il castagno è stata una pianta molto apprezzata… Senofonte lo definì l’albero del pane, nei secoli classificato come il pane dei poveri, la castagna è stata, per molto tempo, un prodotto presente nella mensa delle famiglie contadine. Nel secondo dopo guerra con il progressivo abbandono delle zone di montagna i castagneti hanno conosciuto, purtroppo, un declino ma negli ultimi 30 anni c’è stata una grande riscoperta e un notevole interesse verso questo albero e i suoi frutti. Il castagno è una pianta con origini antichissime, maestosa, imponente e longeva, popola i nostri boschi con altezze che possono raggiungere i 35 metri e chiome con ben 8 metri di diametro.
Il Casentino, terra ricca di castagneti, soprattutto nei piccolissimi paesi posti alle pendici del Pratomagno ha conosciuto, in questi territori, uno sviluppo parallelo: il castagno offriva cibo e lavoro e proprio lì, il paese si sviluppava con la sua storia e le sue radici.
Raggiolo, piccolo borgo millenario, considerato uno dei più belli d’Italia, ha perso negli anni le tracce legate per lo più al medioevo e alla lavorazione del ferro, mentre ha mantenuto indelebili nella memoria e nei racconti della gente, le tracce di un mondo rurale legato al pascolo, alla transumanza molto attiva fra i Raggiolatti verso la Maremma e soprattutto ha mantenuto molti segni distintivi legati al castagno e a quella vita semplice e di grande fatica che la sua lavorazione comportava. Raggiolo, resta oggi, come ieri, un paese plasmato e costruito a misura di quegli antichi mestieri, un borgo dove la memoria non si è persa ed è stata sapientemente conservata.
Camminando per i suoi piccoli vicoli si respira l’aria di un tempo dove il duro lavoro, la lentezza e la semplicità erano elementi caratteristici e peculiari di un borgo che ha saputo resistere e superare l’inesorabile trascorrere del tempo. Ho camminato per Raggiolo con una guida d’eccezione, il Sindaco Emanuele Ceccherini, che ha saputo sapientemente raccontare e far rivivere, attraverso le sue parole, quella realtà silente ma non troppo.
Abbiamo con lui ripercorso il mondo della castagna: dal castagno imponente e maestoso che si erge alto ai confini del paese, fino ad arrivare ai luoghi simbolo e più caratteristici come il seccatoio e il mulino, per concludere il nostro breve ma intenso viaggio all’Ecomuseo della castagna nato proprio dallo stretto legame tra la popolazione e il paesaggio stesso. Un luogo semplice, proprio nel cuore del paese che racchiude in sé un mondo di storia, tradizione, socialità e cultura.
Nell’Ecomuseo si rivive l’identità stessa della comunità, si viaggia attraverso la civiltà del castagno conservando e preservando la memoria di una piccola collettività. Sua maestà la castagna è un alimento semplice ma ha in sé proprietà e valori nutrizionali eccellenti che hanno costituito la base per l’alimentazione di intere famiglie e ancora oggi è un frutto estremamente versatile che può essere utilizzato in svariate modalità fresco, secco, bollito o arrostito ma anche come base o ingrediente per molti piatti. Fin dal medioevo la castagna era presente nell’alimentazione ma è nel rinascimento che ha conosciuto una maggior diffusione. Diventata cibo molto utilizzato dalle masse popolari si è sviluppata e consolidata per diventare una tradizione gastronomica.
Una cucina definita povera solo per il numero di alimenti, perché in realtà appariva molto varia e fantasiosa come viene confermato dal suo utilizzo andato avanti per moltissimi secoli. La castagna è un frutto prezioso al pari delle sue foglie che vengono utilizzate come base per infusi e decotti che assumono proprietà benefiche con azione sedativa e antinfiammatoria.
A Raggiolo si erge imponente un particolare tipo di castagno chiamato “Raggiolano”, il cui nome viene proprio dal castello di Raggiolo ed è stato ottenuto grazie ad un peculiare innesto; questo albero da molti ma piccoli frutti, di buona qualità che una volta macinati risultano un’ottima farina che si conserva bene e a lungo. Se pensiamo alla grande unità sociale che scorreva intorno alla castagna e alla sua lavorazione, non poteva essere altrimenti che questo piccolo borgo rimanesse simbolo della castagna e lo stesso Ecomuseo, espressione di un tempo che fu, è un piccolo tributo ricco di aneddoti e di usanze. La storia raccontata dagli anziani di Raggiolo e tramandata di padre in figlio, ci racconta come dopo il 29 settembre, giorno di San Michele patrono di Raggiolo, il paese si preparava alla raccolta delle castagne. Tutti, grandi e piccini, si recavano nel bosco per dedicarsi al raccolto. Si lavorava per settimane, incessantemente per tutto il giorno, finché la luce lo permetteva, poi si tornava in paese ormai al tramonto con pesanti ceste stracolme di castagne. La raccolta andava avanti per tutto il mese poi dal 29 ottobre si passava alla battitura necessaria per far cadere quelle che ancora erano rimaste sui rami. Al termine del raccolto aveva inizio l’essiccatura.
Ancora oggi è presente un bellissimo seccatoio, una piccola costruzione in pietra con un piano rialzato minuziosamente ristrutturata. Era qui che veniva messo il raccolto, si accendeva il fuoco sul pavimento in modo che il calore salendo facesse essiccare i frutti che ogni tanto venivano girati per evitare che si bruciassero. Il fuoco veniva mantenuto sempre acceso per trenta, quaranta giorni finché le castagne, ormai secche, erano pronte per la macinatura.
Ogni casa vista la vicinanza delle selve al paese, aveva il proprio seccatoio, luogo che per un paio di mesi diventava una seconda dimora. La sera vi si andava a veglia e quella piccola stanza in cui, si faceva forte l’odore del fumo, diventava il luogo simbolo di una semplice convivialità, dove ci si riuniva, si parlava, si raccontavano novelle di paura ai bimbi e si leggevano antichi poemi. Terminata la seccatura era il momento di indossare degli zoccoli speciali per levare la buccia. Si pestavano le castagne per ore e ore, spesso per l’intera giornata, si cantava per non sentire la fatica e infine le donne con appositi vassoi toglievano la pula e sceglievano le più belle per la farina.
Una volta infornate per garantire una durata migliore, venivano portate al molino già pronto per la macinatura. La farina ottenuta veniva pressata nei cassoni dove si conservava bene per tutto l’anno e certe volte essendo molto pressata doveva essere tagliata con il coltello. A Raggiolo di molini ce n’erano tre.
Quello del Morino, ancora oggi in piedi, è stato ristrutturato cercando di tenere in vita un pezzo di storia prezioso e molto bello dove oltre che apprezzarne l’architettura si respira ancora un’aria densa di fatica e sacrificio. Il tempo è trascorso, tutto è molto cambiato, ciò che scandisce il nostro tempo non è certo quello di una volta. In inverno, il paese, conta solo 60 anime per poi popolarsi in estete e arrivare fino a circa 800 persone ma i segni del tempo indelebili nella memoria, ricco patrimonio per il futuro, sono vivi in questa comunità che cerca di custodire gelosamente le proprie radici e di farle rivivere anche attraverso un appuntamento molto atteso ogni anno: la Castagnatura. La festa, adeguata alle normative anti covid, è organizzata anche per quest’anno dalla Brigata di Raggiolo e si terrà sabato 30 e domenica 31 ottobre.
Sarà possibile rivivere sapori e tradizioni di quel tempo così lontano e di una cultura locale elemento imprescindibile di questo meraviglioso territorio. Del resto la castagna è stata per secoli la base dell’economia, un prodotto di una bontà unica, un elemento distintivo di un universo intorno al quale girava la vita di tantissime persone. Il fine settimana della festa si svilupperà tra suggestivi vicoli di pietra, sarà possibile assaggiare prodotti tipici, prendere parte ad iniziative pensate per coinvolgere persone di tutte le età e si potrà godere di un meraviglioso paesaggio caratterizzato da colori e atmosfere tipiche della stagione autunnale.
Raggiolo, il suo borgo, la Castagnatura e l’Ecomuseo possono essere, in un certo senso, il simbolo di tutto il Casentino, di gente autentica, caparbia che, negli anni, ha saputo tirar fuori il meglio di sé per andare avanti ed affrontare le sfide per il futuro. Visitare Ortignano e il suo museo significa riscoprire una tradizione, conoscere, tutelare e valorizzare una cultura che appartiene alle nostre origini.
Del resto, noi stessi camminiamo sulle orme di chi ci ha preceduto e ciò che siamo oggi è il frutto di quello che erano i nostri antenati. Il passato non è semplicemente un luogo dove perdersi, è un posto dove ritrovarsi, è uno spaccato di vita di un tempo prezioso in cui la semplicità si miscela alla storia fatta di uomini e di memoria.