di Mauro Meschini – Il 6 luglio, Festa di San Romolo, ha visto l’ingresso del nuovo vescovo Stefano Manetti nella diocesi di Fiesole. Un evento importante per la nostra vallata, considerato che molti territori dell’alto Casentino fanno parte di questa diocesi, ma anche l’opportunità personale per incontrare di nuovo il sacerdote che, nel 1984, avevo conosciuto a Firenze nella sua prima esperienza di cappellano della parrocchia di Santa Maria a Coverciano.
Per questa comune esperienza giovanile non è stato possibile tenere, durante l’incontro, il tono formale che in questi casi è dovuto, mi scuserete quindi se anche nell’articolo la confidenza supera il protocollo, quello che spero è di essere riuscito a restituire, oltre al clima dell’incontro, i preziosi contenuti e le riflessioni che sono emerse.
Ho letto la tua biografia e ripercorso le varie tappe della tua esperienza all’interno della Chiesa. Dopo il liceo, a 19 anni, sei entrato in seminario. Quando ci siamo conosciuti non ne abbiamo mai parlato ma adesso vorrei chiederti: qual è stata la scintilla, la spinta, i motivi che hanno portato a fare questa scelta? «È stata un’esperienza che ho fatto a 15 anni, durante un ritiro simile ai campi scuola a cui partecipavi anche te. Un’esperienza di tre giorni al Santuario della Verna. In questa occasione ho scoperto la fede, ho scoperto il Signore e mi sono sentito attratto, spinto a seguirlo e a mettermi a sua disposizione. La cosa è poi maturata negli anni dell’adolescenza fino a decidere alla fine del liceo di entrare subito in seminario. È stata una vocazione, io non avevo queste aspirazioni da bambino o da ragazzo… era l’ultima cosa che avrei pensato di fare, francamente. Invece a 15 anni questa esperienza mi ha spiazzato completamente perché non mi vedevo in un’altra via. Non è stata tanto la scelta di un ruolo, per cui a un certo punto ho scoperto come è bello fare ed essere prete. Assolutamente. Anche perché mi faceva piuttosto paura… È stata la scelta di una persona, ho scoperto il Signore e ho deciso di mettermi a sua disposizione, qualunque fosse la sua indicazione. Importante era non perdere di vista questa relazione».
Poi dopo la tua ordinazione ci sono state le prime esperienze, prima la Parrocchia di Coverciano, poi Certaldo… «Prima ancora c’è stata tutta la formazione in seminario, un’esperienza bellissima… poi a 25 anni l’ordinazione e le prime persone che ho conosciuto facevano proprio parte del tuo gruppo. Io fui nominato a giugno e entrai a Coverciano, come vice parroco ovviamente, a settembre e la prima iniziativa a cui ho partecipato è stato il vostro campo scuola, che per me è stato un momento molto forte. Voi fino a quel momento avevate avuto un altro giovane sacerdote che aveva fatto il diaconato, ma poi era andato via per altri incarichi. Erano quindi un paio di anni che in parrocchia non c’era più il cappellano e al precedente tutti voi eravate molto affezionati. Quindi quel campo scuola lo avevate organizzato da soli, era un campo scuola organizzato interamente da giovani laici. Per me fu una scoperta molto importante che ha segnato anche un po’ il mio sacerdozio… io uscivo dal seminario, dopo sei anni di formazione, e in quel momento ti puoi sentire «padrone della materia» e pensare: «ora arrivo io e vi insegno come si fa»… Ma quando vidi come voi avevate organizzato il vostro campo scuola e l’entusiasmo che avevate, un aspetto che mi colpì tantissimo, dissi a me stesso: «ma dove vai?»… Essere prete non significa dire alla gente quello che deve fare ma riconoscere che lo Spirito Santo ci precede sempre… Lì cambiò il mio modo di pormi. Non colui che sa tutto, ma colui che ascolta e riconosce la presenza di Dio mettendosi al suo servizio».
Nelle tue esperienze sono importanti i ruoli ricoperti nel seminario e legati alle vocazioni. Adesso si parla molto di crisi e anche in Casentino lo vediamo: prima ogni chiesa aveva il suo parroco, adesso c’è un sacerdote che deve seguire più chiese. Ma quello che accade può essere anche la sollecitazione a riconsiderare la presenza dei parroci? Nella Chiesa qualcosa potrà cambiare… forse c’è bisogno di coinvolgere in modo diverso tutti… «Si, il nostro tempo, anche qui in Toscana, è segnato dal calo netto di vocazioni al sacerdozio e anche alla vita religiosa… ma anche al matrimonio se si guarda bene… è proprio la propensione vocazionale che si perde un po’ in generale. In ogni caso per i sacerdoti c’è una grave crisi. Questo porta una preoccupazione soprattutto per come è impostata la nostra pastorale che vorrebbe in ogni parrocchia il proprio sacerdote, in ogni settore una figura che si dedica a questo servizio. Questo non sarà più possibile averlo. Allora se da una parte la viviamo come crisi, dall’altra, come accennavi, stiamo attenti che può essere l’opportunità per responsabilizzare di più i laici. È una cosa attesa nel nostro tempo, Papa Francesco ci spinge molto verso questo obiettivo e usa molto il termine «cammino sinodale», intendendo proprio tutto il popolo di Dio, dove ognuno ha e svolge il suo servizio specifico ma camminando insieme. C’è quindi una partecipazione dei fedeli laici non più come collaboratori ma come corresponsabili, che è un po’ diverso. Il laico corresponsabile non esegue solo le indicazioni ricevute dal responsabile della comunità ma si prende lui stesso a cuore le sorti della comunità e suggerisce dei percorsi, delle scelte, perché si sente responsabile in prima persona. Non sostituisce il parroco ma si prende a cuore la vita della comunità. Questo tipo di laico è quello atteso oggi, sono i tempi che richiedono questa figura e la crisi delle vocazioni, paradossalmente, può favorire questo».
Hai ricordato Papa Francesco, una figura che in questo momento si mette in evidenza per il suo essere controcorrente. Su guerra, difesa dell’ambiente e accoglienza tutte le cose che poteva dire per andare contro ciò che viene fatto le ha dette. Sulla guerra, per esempio, è l’unico che continua, giustamente, a dire che bisogna smettere di sparare. Questa Chiesa sta parlando al vento oppure è forte perché sono forti le ragioni che porta avanti, anche se è difficile farlo perché sembra che nessuno ascolti? «La Chiesa è forte tutte le volte che aderisce al Vangelo. È il Vangelo la sua forza. Annunciare e testimoniare il Vangelo oggi è sempre controcorrente. Papa Francesco non fa altro che testimoniare il Vangelo non ha inventato niente. Aderisce al Vangelo e va controcorrente. Andare controcorrente in certi momenti ti riduce ad una minoranza… Noi magari siamo legati ad una Chiesa che aveva un grande consenso pubblico, popolare, nazionale, che ancora oggi ha visto che il 90% degli italiani è battezzato e nessuno obbliga a farlo. Però ci sono momenti culturali, come mi pare quello presente, in cui questo andare controcorrente riduce la Chiesa ad una minoranza per cui sembra che non sia ascoltata. In realtà l’ascolto non sempre può essere manifesto. Quando i giornalisti scrivono della Chiesa, di Papa Francesco… sono informatissimi, a me questo mi ha sempre colpito. La Chiesa è seguitissima e conosciutissima. Non c’è un consenso popolare magari, ma c’è un ascolto sicuramente. La Chiesa non insegue il successo la sua unica preoccupazione deve essere di essere fedele al Vangelo, quando gli riesce, con tutto il cuore. Basta questo. Se poi agire così produce un consenso popolare, bene, in caso contrario è lo stesso… Oggi va di moda, dire le cose per avere consenso…».
Diciamo che la Chiesa non va dietro ai sondaggi… «Bravo!… Diciamo che può essere tentata, nel caso in cui fosse attirata dai sondaggi è una tentazione da respingere, non è il suo, la Chiesa dei sondaggi non si deve preoccupare. Ha un altro orientamento…».
Tra l’altro, anche su questi temi, è difficile avere momenti per riflettere e confrontarsi perché ridotti a spot o tweet. Ma Papa Francesco rifiuta questo modo di comunicare perché vuole lanciare dei messaggi forti. Mi viene in mente la sua recente visita in Canada per riflettere e chiedere scusa per quanto fatto dalla Chiesa in passato. Ha voluto così restituire dignità, valore e ruolo alle popolazioni indigene che erano state oppresse… «Questa è proprio una testimonianza evangelica perché il Vangelo dice che gli ultimi sono i privilegiati di Dio. Su questo il Papa è molto sensibile. Questo episodio poteva essere benissimo dimenticato e si poteva scegliere di tacere e non rispondere allo scandalo che era scoppiato. Invece no, lo ha messo proprio al centro per dare voce agli ultimi. Come hai detto, per restituire la dignità. Questa è un’operazione squisitamente evangelica, il Vangelo è questo e il Papa deve testimoniare il Vangelo. Se fosse stato preoccupato dei sondaggi si sarebbe ben guardato di riproporre uno scandalo che poteva allontanare le persone dalla Chiesa».
Tornando al tuo percorso, vieni da un luogo periodo trascorso alla guida della diocesi di Montepulciano-Chiusi-Pienza . Ecco, il passaggio dal sacerdozio a quello che possiamo definire il «gradino superiore», cioè a una responsabilità più alta, in quel momento che cosa ha rappresentato? «È stata una cosa inaspettata, tanto è vero che quando mi chiamò il nunzio dicendomi di presentarmi da lui prima possibile credevo fosse successo qualcosa in seminario, che qualche ragazzo avesse fatto un malestro. Invece mi presentò la nomina del Papa chiedendomi se accettavo, io chiesi un po’ di tempo perché questa notizia mi sbalestrò un attimino… Poi invece mi disse: «C’è bisogno»… e noi abbiamo scelto di servire la Chiesa dove è necessario. In più non sono stato nominato solo vescovo, che poteva essere visto come uno «scatto di carriera», cosa che non mi interessava. Io sono stato fatto «vescovo di…» quindi non mi è stato dato un titolo….».
Ma un incarico ben preciso… «Bravo… in questo caso accetti, raccomandandoti al Signore perché non ti senti assolutamente in grado…. Come sempre si segue il Signore e ci fidiamo di lui. Ho iniziato così questa nuova avventura con semplicità anche perché poi basta mettersi a disposizione delle persone, stare accanto alla gente e servirla. Tutto semplice anche se certo ci sono delle grosse responsabilità… però, come mi disse il cardinale che segue dalla Santa Sede i vescovi, dopo 30 anni circa di sacerdozio forse era arrivato il momento di prendersi qualche responsabilità in più…».
E adesso con la nomina a Fiesole dovrai seguire anche parte del Casentino… Per te è stata importante La Verna e poi cosa rappresenta per te questo territorio? «Sono stato pochi giorni fa in Casentino, a Pratovecchio, per la Marcia Francescana e mi sono fermato in piazza a parlare con le persone… Io sono legato a la Verna, che però è nella diocesi di Arezzo. Ora che il Casentino fa parte della diocesi che mi è stata affidata devo imparare a conoscerlo, ascoltare il territorio e capire quello che è utile fare rispetto al mio compito. In questo momento ho un atteggiamento di ascolto, un sentire quello che lo Spirito Santo già sta facendo senza sollecitarlo troppo….».
Sta già lavorando per te e per noi… «Esattamente…».
Allargando di nuovo lo sguardo e considerando tutto quello che sta accadendo. Quale è il tema forte che la Chiesa dovrebbe portare avanti adesso? In una situazione dove ci troviamo ad affrontare di tutto e sembra davvero difficile uscirne bene… «Prendendo il tema più grave lì si recupera il compito essenziale della Chiesa. E il tema più grave è la guerra, che non è purtroppo una novità e non è iniziata con la guerra in Ucraina. Però questo ci ha un po’ svegliato e questo la dice lunga sulla tendenza ad assopirsi che troppo spesso è presente… Ora in Ucraina i primi a scendere in piazza contro i carri armati russi furono un gruppo di venti adolescenti che furono tutti sterminati e i parenti non hanno potuto recuperare neppure i loro corpi perché dilaniati da proiettili potentissimi. Ecco questo non è possibile che accada. «Chi sei per distruggere le persone? Sei Dio? Vuoi prendere il suo posto?». Questo non è possibile a nessuno, la Chiesa deve gridare forte questo! A nessun uomo è permesso di maltrattare un altro uomo, perché ogni uomo, di qualunque cultura, di qualunque religione, di qualunque nazione è sacro, è immagine di Dio, porta dentro di sé un mistero enorme che noi non ci immaginiamo nemmeno. Oggi il compito della Chiesa è difendere con forza la sacralità di ogni persona e agire di conseguenza. Bisogna quindi iniziare dagli ultimi, dagli emarginati. Promuovere la vita delle persone sempre e comunque, trattare nel rispetto della sua dignità ogni persona umana. Là dove è affermato l’uomo è affermato Dio, perché Dio si è fatto uomo. Quando Dio si oscura nella coscienza umana aumentano le ingiustizie si distruggono le persone in tanti modi, non solo con le pallottole. Quando invece anche nella storia c’è stato più il senso di Dio nascono gli ospedali, le scuole, le associazioni per promuovere appunto l’uomo. Per rispondere alla tua domanda quello che vedo come compito principale della Chiesa è difendere la dignità di ogni persona».
Compito enorme, gigantesco, che sembra adesso impossibile… «Ma grazie a Dio è fatto di gesti quotidiani semplici. Anche dicendo «Buongiorno» al vicino che si incontra la mattina uscendo di casa si compie una atto di questo tipo. Si dimostra che è una persona importante. Non occorre fare molto, come tante piccole gocce di acqua riempiono un fiume, così tanti piccoli atti positivi favoriscono la promozione della dignità umana. La guerra invece si ha quando sono stati fatti così tanti atti di ingiustizia che portano al disastro. La pace la costruisci ogni giorno con atti giusti… come dire buongiorno».
Mi viene in mente Papa Francesco che quando si presentò dopo la sua elezione al balcone di San Pietro disse: «Buonasera»… e questa cosa è rimasta nel suo linguaggio e nel suo modo di porsi… si tratta in fondo di cambiare il modo di vedere le persone al di là del colore della pelle, dei tratti fisici… «Esatto».