di Fiorenzo Rossetti – Una panchina su cui sedersi e un tavolo per appoggiare il proprio pranzo; il ricordo di quel legno marrone scuro si fonde con i paesaggi del Parco delle Foreste Casentinesi e i bei momenti passati a fare picnic tra amici e familiari. Quello delle infrastrutture ricreative legate ad un Parco nazionale è un argomento decisamente interessante da trattare. Le panchine e i tavoli di legno marrone, tanto presenti nei nostri ricordi, sono disposti in diversi luoghi, più o meno vocati alla frequentazione turistica, del Parco delle Foreste Casentinesi e (tranne alcune eccezioni) costituiscono, assieme a qualche caminetto e piccolissimi bivacchi, le uniche infrastrutture dedicate alle attività ricreative.
La cosa potrebbe far gioire i fautori dei Parchi senza frequentatori, ma la considerazione da fare è che siamo davvero tanto indietro rispetto ad altri modelli di gestione degli spazi naturali. Innanzitutto, accogliere (e gestire) visitatori in un Parco significa avere l’occasione per educare ai concetti della conservazione dell’ambiente naturale e del valore della biodiversità. Ricordo sempre che questo dell’educazione è un tema importante e strategico di un’area protetta e ne costituisce una delle mission di un Parco.
Quindi l’imperativo, ad esempio, dovrebbe essere quello di organizzare spazi idonei in cui gruppi di amici e di famiglie trascorrono la loro domenica svagandosi e consumando il proprio pic-nic, riuscendo, indirettamente, a ricevere un poco di quella cultura tanto cara ai Parchi. Se è accertato che l’ambiente è di per sé educante, allora lo può anche essere una valida rete di infrastrutture dedicate ad accogliere persone che intendono trascorrere momenti di relax. Si tratta quindi di porre attenzione a tutte le aree del Parco con questa vocazione e procedere ad una loro ridefinizione, investendo denaro pubblico (proveniente dal bilancio o attingendo dai vari progetti europei e non) o stringendo accordi con investitori privati. Già, avete sentito bene: investitori privati.
È infatti possibile ridefinire le aree di accoglienza dei visitatori, inserendo attività commerciali (piccoli chioschi, spacci di prodotti locali, gestori di servizi ricreativi e didattici) che possono supportare l’ente Parco in questa strategia e allo stesso tempo avviare una economia molto interessante anche per i posti di lavoro che si verrebbero a creare. Anche un semplice parco giochi per bambini, nel luogo idoneo e con le strutture adatte, potrebbe creare un punto interessante per l’educazione all’outdoor e allo stare nell’ambiente naturale (rispettandolo!).
Sarebbe quindi auspicabile che qualche addetto alla gestione del nostro Parco cominci a guardare ai vari modelli gestionali, riferiti a questo argomento, presenti nei Parchi del nord Italia e se possibile in qualcuno europeo e nordamericano. Occorre uscire da questa arretratezza, investire su queste infrastrutture, applicare modelli pubblico-privati virtuosi e accrescere le potenzialità turistiche del Parco che possono generare educazione ed economia.
Un picnic, quindi, non deve essere visto solo come una mera occasione di svago domenicale, ma come un punto di partenza per aggregare nuovi appassionati del vivere all’aria aperta, desiderosi di farsi accogliere in spazi organizzati (dove c’è anche il WC!), idonei a trascorrere una appagante giornata in famiglia o tra amici e tornare a casa più ricchi e consapevoli del patrimonio naturalistico che li ha ospitati.
(L’ALTRO PARCO Sguardi oltre il crinale è una rubrica di Fiorenzo Rossetti)