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mercoledì, 5 Febbraio 2025

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Una laurea sulla cannabis

di Matteo Bertelli – Quanto l’etica è importante nella vita di tutti i giorni? A prescindere dalla vostra religione, qualsiasi essa sia, più o meno tutti abbiamo dei giganteschi e pienamente funzionanti freni ai propri comportamenti, se non anche ai propri pensieri, creati da un’idea più o meno condivisa di buon costume. Per rimanere nel semplice, ogni singolo saluto, ogni gesto di cortesia o di mancata scortesia o qualsiasi altro piccolo comportamento simile è stato creato da una storia culturale che ha diviso il bene dal male e ce l’ha impresso a fuoco nella mente. L’etica, in tutte le sue sfaccettature, quindi, è un caposaldo di ogni relazione umana. Ma è così anche in altri settori? Ad esempio, è così anche nella medicina?

Queste sono le due domande che ci siamo posti, viste anche le numerose discussioni che la comunità scientifica sta portando avanti a livello mondiale, e ci siamo concentrati su una questione “medico-morale” in particolare: l’uso della cannabis nella medicina, il famoso e altrettanto contorto campo minato della cosiddetta “cannabis terapeutica”. Ci siamo addentrati in questo complesso argomento grazie all’aiuto di un neo laureato in infermieristica, Michele Corsetti (nella foto) che ha discusso la sua tesi proprio attorno a questo spinoso problema, mostrando con chiarezza i punti a favore che l’uso di questa droga leggera porta nelle cure di malati. Ci son stati infatti molti studi che hanno dimostrato che la marijuana ha proprietà benefiche, in alcuni casi non rari, quindi perché sono ancora in pochi a curarsi con questo metodo poco convenzionale?

Ci risponde senza peli sulla lingua e in maniera chiara Michele dicendoci che “nonostante la comunità scientifica sia schierata apertamente a favore dell’uso di questo tipo di terapie (ovviamente nei metodi e modi considerati opportuni e laddove sia veramente necessario, Ndr.) questa medicina agli occhi della popolazione rimane soltanto una droga che non può portar alcun reale beneficio.”
Durante lo studio che Michele ha portato avanti per corroborare la sua tesi e poterla discutere a testa alta di fronte ai suoi professori referenti, sicuramente interessati e informati sulla materia, si è trovato a curare con attenzione l’analisi dei risultati delle cure “a base di cannabis” a cui si erano sottoposti alcuni pazienti affetti da sclerosi multipla, Sla, fibriomalgia e altre patologie presso il centro di Cure Palliative e Terapia del Dolore di Firenze. Cannabis Bertelli
I numeri e le percentuali che il nostro ci ha mostrato fanno decisamente impressione, citando dalla sua ricerca: “Il 68,9% dei pazienti che soffrivano di dolore addominale hanno riscontrato un miglioramento, così come il 41% di quelli che soffrivano per gonfiore addominale; inoltre nel 71,3% dei casi i pazienti con una forte nausea si sono trovati molto meglio alla fine della cura così come l’80% di coloro che soffrivano di sonnolenza; in conclusione più del 60% dei pazienti ha visto visibilmente migliorare la sua condizione dopo la cura e solo nel 27% questa ha avuto controindicazioni, nella maggior parte dei casi sonnolenza.”

Sembra niente; effettivamente le percentuali potrebbero non sembrare alte come probabilmente credevate dopo aver sentito solo tanti elogi verso questa pratica; ma immaginatevi che i pazienti che hanno avuto effetti positivi sono stati sopposti a una cura che porta sensibilmente a una riduzione del dolore e di alcuni problemi ma che è, sensibilmente allo stesso modo, ignorata dalla politica italiana, tanto da mantenere un alone di mistero nei reali usi possibili, in quanto non è permesso alcuno studio approfondito. Le porte che si potrebbero aprire tramite l’uso questa materia prima, di questa dimostrata vera e propria medicina, possono mostrarci una via intricata e densa di problemi (non lo possiamo sapere ovviamente) o, più probabilmente, strade che portano a nuove frontiere per la medicina. Quindi perché non provarci?

Se già giovani studiosi come Michele, freschi di laurea, ci credono così tanto in progetti come questo, allora possiamo sperare di far andare avanti non solo la nostra piccola realtà, alla quale ci rivolgiamo con questo articolo, ma l’Italia intera; sperando che la “lieve” voce di questo ragazzo si possa sommare ad un coro di persone provenienti da Catanzaro, Milano, Alessandria, Palermo, ecc., così da poter essere orgogliosi (perché noi casentinesi lo siamo sempre delle nostre eccellenze) di poter dire che anche un nostro concittadino ha contribuito a fare uno dei passi avanti più grandi della medicina moderna.

Eppure ci sono grossi paletti messi dalla nostra etica, paletti che sarà difficile smuovere e che, forse, già solo a sentir parlare di questo argomento, faranno rizzare le orecchie e bisbigliare di sdegno a tanti che, per fortuna (o purtroppo), son stati educati entro quel recinto del bene morale che da tempo immemore gli innovatori cercano di allargare. La nostra unica possibilità è che ricerche come quelle di Michele possano far capire anche a persone che, diciamocelo, di scienze farmaceutiche e di cure palliative ci capiscono ben poco, come noi del resto, che la cosiddetta cannabis usata come medicinale non è “l’insalata di Satana”, non provoca allucinazioni né ti condanna all’Inferno. Noi dovremmo, con un po’ di razionalità, unirci a quel coro per poter così pensare ancora al prossimo passo, al futuro, chissà magari anche legalizzandone l’uso ricreativo per togliere soldi alle mafie e stare al passo con il resto del mondo. Certi giovani hanno il coraggio (agli occhi di alcuni, anche se Michele ha semplicemente sostenuto un’idea, basandosi su dati empirici) di chiedere di cambiare; come possiamo rimanere fermi e ignorarli?

(tratto da CASENTINO2000 | n. 283 | Giugno 2017)

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