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domenica, 20 Aprile 2025

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Una scuola per l’artigianato del Casentino

di Mauro Meschini – «Quando mio nipote mi disse: “Credo in questo lavoro e vorrei continuare l’attività”. Io gli insegnai a cesellare e la madre altre cose che riguardavano l’oreficeria, però gli dissi anche vai via da Pratovecchio, perché già si capiva che questi paesi sarebbero finiti sia per le attività artigianali, sia per il commercio. Infatti ormai questi paesi sono diventati tutti in vendita o in affitasi, non ci sono più artigiani, né commercianti, né botteghe. Quando io mi trasferii qui nel borgo con la mia bottega, facemmo un’associazione di commercianti che da qui fino alla piazza comprendeva 50 attività, cioè 50 negozi, oggi sono pochissimi…».
Con questo sconfortante quadro della situazione inizia l’incontro con Lorenzo Pagnini, artigiano orafo di Pratovecchio che abbiamo avuto la fortuna di incontrare nel suo laboratorio dove, ora che la sua attività è chiusa da qualche anno, si diverte e continua a creare oggetti che sono dei veri e propri capolavori.
È un quadro che purtroppo tutti abbiamo ogni giorno sotto gli occhi, un quadro pessimo ma, nonostante questo, nessuno si preoccupa di sostituirlo con altro, con qualcosa di più bello e gradevole. Salendo le scale dell’edificio di via Garibaldi, nel pieno centro di Pratovecchio, dove si trova questo angolo di bellezza e creatività ci veniva in mente di quante risorse possano essere racchiuse proprio al centro di quei paesi dove ormai vediamo troppe finestre chiuse e tante saracinesche abbassate. La “bottega” di Lorenzo Pagnini, che si trova al piano terra dello stesso edificio potrebbe essere, a tutti gli effetti, un museo cittadino una vetrina per l’intera collettività, motivo di richiamo e interesse per i tanti che, invece dei supermercati, volessero conoscere meglio e ammirare quello che si può realizzare con il cesello, con l’intarsio, con il mosaico.
L’artigianato da sempre è stata l’attività umana che ha permesso di esprimere il meglio della creatività e della genialità della nostra specie. La conoscenza e la scoperta dei materiali da lavorare, la sperimentazione di tecniche diverse, la realizzazione di attrezzi e utensili che permettessero di lavorare e far sorgere dal metallo, dalla pietra e da altri materiali figure, immagini, paesaggi. Così forse si può riassumere il lavoro dell’artigiano che poi richiedeva, e richiede, anche tempo, pazienza, abilità e capacità. Il tutto arricchito da una grande passione e, forse, anche dalla consapevolezza di poter donare qualcosa di veramente importante a tutti.
«Sono ancora motivo di soddisfazione i riconoscimenti ricevuti per la nostra capacità lavorativa. Adesso sono in pensione, ma sapere che l’attività prosegue a Firenze grazie a mio nipote, Cristiano Pierazzuli, che ha una ”bottega” in Via Maggio, mi riempie di orgoglio. Non posso nascondere il dolore di vedere ogni mattina quella che era stata una bottega di alto valore artigianale ormai per sempre chiusa qui in Pratovecchio, questo sta a dimostrare quanto sia difficile e complicato essere artigiani in Italia».
Si, ci rendiamo conto adesso, mentre stiamo provando a raccontare l’incontro con Lorenzo Pagnini, che abbiamo avuto un grande privilegio: quello di conoscere qualcosa di importante e di prezioso, e proprio a due passi da casa.
Per provare a spiegare il livello e la qualità delle realizzazioni di Lorenzo Pagnini si può semplicemente raccontare come, quasi per caso, abbia avuto la possibilità di lavorare per il Vaticano.
«Nella chiesa di Stia c’è un crocifisso in argento che ho realizzato. Un alto prelato, amico di Don Carlo, capitò da queste parti e, dopo averlo visto, chiese il mio numero di telefono. Fu così che un giorno sento suonare il telefono e una voce dall’altra parte mi disse senza troppe presentazioni: ”Lei è il signor Pagnini, quello che ha realizzato il crocifisso di Stia… ecco, allora lei mi deve realizzare l’urna per Santa Barbara. Ma deve essere pronta entro un mese”. Il tempo a disposizione era veramente poco e io ero convinto che dall’altra parte ci fosse un commerciante, così mi scappo detto: “Lei è matto!”. Lui non si scandalizzò più di tanto, anzi ribadì che aveva bisogno di questo lavoro e mi chiese di incontrarci e di andare direttamente a Roma, in Vaticano. A quel punto mi resi conto che era veramente una cosa seria e io e mio nipote lavorammo veramente di giorno e di notte per riuscire a rispettare i tempi per creare un oggetto per il quale impiegammo circa 20 chilogrammi di argento».
Continuando a parlare con Pagnini della realizzazione dell’urna di Santa Barbara, patrona dei Vigili del Fuoco e dei marinai, scopriamo che ci sono anche altri particolari curiosi da raccontare. Infatti durante la realizzazione un ufficiale della Marina Militare si recò nel suo laboratorio per visionare come procedevano i lavori. L’ufficiale era accompagnato dalla moglie che, Pagnini racconta, gli sembrò fosse rimasta un po’ perplessa dopo aver visto l’urna. La spiegazione di tutto, anche in questo caso, fu poi data dallo stesso che lo aveva chiamato dal Vaticano.
«La stessa sera della visita dell’ufficiale mi chiamò di nuovo il monsignore dal Vaticano chiedendo conferma della visita dell’ufficiale e della consorte. Poi aggiunse: “Lei mi ha anche detto che siete matti… avete fatto Santa Barbara tutta nuda…”. Cercai di spiegare perché avevamo fatto quella scelta conoscendo la sua storia che racconta che fu frustata, e comunque feci presente che a quel punto non c’era più il tempo di modificare niente. Ma fu veramente bravo perché mi chiese soltanto: “Ma a te piace?”. E dopo la mia risposta affermativa continuò: “Allora lasciala così!”».
Dopo questo intenso lavoro Lorenzo Pagnini ebbe la possibilità di realizzare un accurato restauro – rifacimento dell’altare nel Duomo di Cagliari, un impegno che occupò quasi un anno e che iniziò in maniera un po’ rocambolesca perché fu necessario smontarlo e portarlo nel laboratorio di Pratovecchio, ma i cagliaritani non erano così entusiasti della scelta di vedere una loro oggetto così prezioso prendere il mare, così, ci fu una specie di blocco del porto di Cagliari per impedire la partenza dell’altare. Però, Pagnini, aveva ormai preso la strada per il porto di Olbia e quindi riuscì a rientrare in Toscana.
Potremmo poi continuare ancora con altre storie, per esempio con la bottega che allestì all’interno del museo, sempre di Cagliari, dove si occupò di restaurare i tanti oggetti di argento di cui la Sardegna è ricchissima, un lavoro a cui si dedicò per quattro anni, spostandosi per lunghi periodi sull’isola.
Durante il nostro incontro con Lorenzo Pagnini abbiamo potuto anche vedere tante fotografie di oggetti che ha realizzato o restaurato e, soprattutto, abbiamo toccato e ammirato da vicino delle vere e proprie meraviglie, soprattutto questo ci ha portato a chiedere come è possibile che adesso tutto questo possa essere messo in un angolo e come è possibile non tramandare ad altri un’arte come quella che ha permesso a Pagnini di realizzare tanti bellissimi oggetti.
Ma ha mai pensato di aprire una scuola?
«Ci ho pensato mille volte. Questo è stato proposto agli amministratori e ad altri, sembrava possibile aprire questa scuola all’interno del Lanificio di Stia, ma poi tutto è andato a rotoli e adesso sembra che qualcuno voglia farci una casa di riposo…».
Ma per creare un laboratorio come il suo non è che siano necessari così tanti attrezzi?
«Per cesellare occorre un martello e un certo numero di ceselli, che bisogna imparare anche a realizzare, per poi utilizzarli per le diverse esigenze. Poi occorre fare pratica e apprendere la tecnica… – poi si interrompe e torna sul tema della nascita di una scuola – … Anche per quanto riguarda la scuola che vogliono fare a Stia…».
Si riferisce alle Officine Capodarno?
«Si!… io sono andato alle riunioni per capire di cosa si tratta, ma la strada che hanno voluto prendere mi lascia perplesso…».
Eppure ci sarebbero le condizioni per far diventare il lavoro artigiano caratteristico di una parte del Casentino?
«Io ho sempre detto di provare a fare una cosa di questo tipo. Poi non dovrebbe essere una scuola per fare solo cesello, perché ci sono tante tecniche da imparare e tramandare. Oggi abbiamo perso l’intarsio, il mosaico, il lavoro sul legno e anche su tanti altri materiali. Ci sarebbero tante lavorazioni da insegnare ai ragazzi per creare tanti oggetti. Ci sono i mosaici in pietra che ormai in pochi realizzano. Queste sarebbero le cose da insegnare in una scuola. Questo porterebbe persone da tante parti del mondo. Perché, mi chiedo, non si fanno scelte in questa direzione?».
Giriamo la domanda a tutti i nostri lettori, e anche ad altri magari, sperando di trovare riscontri e voglia di iniziare a parlare seriamente di cosa potremmo continuare fare e proporre in Casentino. Potrebbe essere finalmente il modo per fare delle belle scoperte. Per esempio scoprire che questo territorio ha tanto da raccontare e da offrire, soprattutto se saremo capaci di tornare a sintonizzarci con le sue specificità e caratteristiche.
Potremmo poi anche avere l’ennesima conferma che, sicuramente, con i supermercati andremo poco lontano.

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(tratto da CASENTINO2000 | n. 316 | Marzo 2020)

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