di Federica Andretta – Si sente spesso parlare di crisi, disoccupazione giovanile e non, ma non si sente spesso parlare di occupazione. Già, perché non è giusto fare di tutta l’erba un fascio. Perché se c’è chi non ce la fa proprio a trovare un impiego, c’è chi invece è riuscito a inserirsi con successo nell’intricato mondo del lavoro come Marco Mellini (nella foto), ventottenne casentinese.
Il suo è un caso in controtendenza rispetto all’attuale congiuntura economica?
Direi piuttosto un esempio positivo di speranza per molti giovani che avviliti e delusi si sono ormai arresi e non vedono più via di uscita. Ed è proprio Marco a infonderci fiducia nel futuro.
Sebbene oggi sia diventato pressoché impossibile per il giovane con talento e capacità trovare un posto di lavoro per varie circostanze ormai a tutti molto note, è anche vero che un pizzico di intraprendenza e grinta non guasta mai, anzi, è un requisito essenziale per essere scelti ad un colloquio. Bisogna ispirare fiducia nel datore di lavoro. Ma come può un giovane trasmettere fiducia, se già in partenza sa che le probabilità di essere assunto (o almeno, di essere considerato, che è già tanto!) sono molto basse? Tutta colpa dei continui rifiuti ricevuti e delle stesse frasi di circostanza adottate per scartare un candidato? Tanta è l’indignazione tra i giovani. Un copione che si ripete ogni giorno. Dignità calpestate. Titoli di studio che lasciano il tempo che trovano. E una sola domanda: perché misurare un individuo soprattutto dall’esperienza (maturata o meno negli anni), e non anche dal potenziale, elemento che non può fuoriuscire al primo impatto? Se non hai esperienza e titoli inerenti alla mansione in questione, puoi anche girare i tacchi e andartene. Non verrai mai richiamato. Ma ci sono altri fattori che influiscono tragicamente sulla buona riuscita di un colloquio di lavoro: il luogo di residenza. Se il posto di lavoro è situato a una distanza più o meno elevata dalla zona in cui si abita, che richiede un trasferimento o al massimo il pendolarismo (pensiamo a un giovane che dal Casentino vuole trovare lavoro a Milano o in qualsiasi altra città del Nord o del Centro, o semplicemente in un’altra vallata), difficilmente si verrà scelti. Meglio prendere uno della zona. Insomma che ne sarà di noi poveri “forestieri” pronti persino a lunghi spostamenti o ad abbandonare la propria terra di origine pur di lavorare?
Credo che non ci sia una risposta univoca a questo quesito. Ma veniamo a Marco.
Dopo ragioneria che cosa hai deciso di fare?
«Ho fatto per sei mesi, sotto forma di praticantato, il consulente del lavoro presso uno studio commercialista, attività che ho lasciato per iscrivermi all’Università di Arezzo. Dopo la laurea triennale in economia conseguita nel 2010 con 110 e lode, a gennaio 2011 ho trascorso un periodo di sei mesi a Londra durante il quale ho lavorato per tre mesi come sous chef in un ristorante e per i restanti tre mesi ho frequentato una scuola per migliorare il mio inglese. Una volta tornato in Italia, ho lavorato per sei mesi come collaboratore occasionale presso un commercialista di Prato spostandomi con mezzi propri ma ricevendo comunque un piccolo rimborso spese e, successivamente, sono stato chiamato per alcuni colloqui, alcuni dei quali sono andati molto bene. Ho deciso, infatti, di rinunciare ad alcune offerte lavorative (dal momento che al tempo avevo scelta) che si sono presentate contemporaneamente, tra queste, quella di giornalista presso una rivista sportiva, perché non vi vedevo sbocchi professionali inerenti al percorso di studi intrapreso, e l’altra relativa alla gestione della qualità presso una ditta, impiego che ho rifiutato per andare all’INPLAF dove a febbraio 2012 sono entrato come tirocinante e da settembre 2012 sono diventato buyer. Un’azienda cardine in Casentino, in forte crescita negli ultimi anni, difatti, il prossimo anno aprirà anche in Brasile».
Come ti trovi all’INPLAF?
«Bene, è una bella realtà. Mi hanno subito messo al lavoro e formato velocemente. È un ambiente giovane e dinamico!».
Secondo te che cosa influisce maggiormente sulla scelta di un candidato?
«Per esperienza personale, oltre al possesso di conoscenze tecniche specifiche, la distanza dal luogo di residenza. Oggi è un aspetto determinante, direi, che mi è sempre stato fatto presente ai colloqui, ma è comprensibile data l’ampia scelta di candidati; il coabitante, se così si può definirlo, dà maggiori garanzie a meno che ovviamente tu non possa offrire qualcosa in più!».
Come mai hai deciso di tornare in Italia dopo il tuo soggiorno a Londra?
«Oltre a motivi personali, mi mancavano le montagne e soprattutto il sole, elemento che dà energia e che è indispensabile per il buonumore, in particolar modo per noi mediterranei, e poi pensavo fosse giunta l’ora di trovare il mio lavoro e di farmi una famiglia».
Ci torneresti?
«Sì, ma come turista».
Se ti fosse stato offerto un lavoro allettante, saresti rimasto?
«Sarei comunque tornato a casa».
Secondo te un italiano che cerca lavoro in Inghilterra è svantaggiato rispetto a un inglese?
«No, perché lì se ritengono che una persona abbia capacità e talento (sebbene non parli bene la lingua), ci investono. Credono in te, anche se non ti conoscono! In Italia è totalmente differente, spesso è più importante la conoscenza, diretta o indiretta che sia, anche se devo dire che non è assolutamente il mio caso.
Ma alla fine è normale, sono meccanismi differenti di due realtà diverse, imparagonabili. Se fosse possibile, persino là chiederebbero consiglio a persone fidate, ma in una metropoli di 12 milioni di abitanti puoi conoscere al massimo i vicini delle prime tre porte accanto alla tua!
Poi lì, in particolare, vanno e vengono ogni giorno migliaia di persone, è completamente un altro mondo!».
Secondo te i giovani sono “choosy”?
«Non tutti, alcuni sì. Altri no, si adattano! Dipende anche dalle necessità. Se non avessimo l’aiuto dei nostri genitori, quel termine probabilmente non lo conosceremmo neppure».
Rimpiangi la scuola?
«No, perché questa ti dà solo teoria, e non pratica. Il lavoro ti fa crescere e maturare».
Che consiglio daresti ai giovani?
«Sicuramente di essere intraprendenti, non arrendersi mai e lottare per un obbiettivo, ma prima di tutto dobbiamo ricordarci cos’è l’umiltà; oggi credo che se ne perda spesso il valore. Ricordo ciò che mi dissero una volta i miei familiari: “Devi fare di necessità virtù”. Ed è quello che ho fatto quando mi trovavo in Inghilterra. Sono arrivato là da solo, ho soggiornato per una settimana in un ostello e poi ho trovato una casa ed un lavoro, benché il mio carattere riservato ed introverso non giocasse proprio a mio favore. Mi sono dato da fare e non mi sono dato per vinto».
Seguiremo tutti il tuo consiglio! Già, perché se il primo passo per ridare ricchezza al nostro Paese è creare posti di lavoro, è altrettanto importante credere in se stessi e non lasciare che tante porte sbattute in faccia ci condizionino la vita!
(tratto da CASENTINO2000 – nr. 236, luglio 2013)
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