Incontriamo Francesco Trenti sotto le festività a “casa sua”, al Museo, dove sta sbrigando le ultime cose prima di passare il testimone. Francesco, siamo dunque arrivati alla fine del viaggio? «Se vogliamo vederla così… (ride, ndr) Diciamo che scendo io, ma il viaggio prosegue. Sappiamo che la percezione del tempo è sempre relativa, ma devo confessare che se mi guardo indietro questi oltre 11 anni sono davvero volati.»
E questo è un bene o un male? «Direi senz’altro un bene, senza dubbio, vuol dire che almeno da parte mia è stata un’esperienza più che positiva. Ho avuto la fortuna di poter assistere e partecipare a tutte le attività che già dal 2009 coinvolsero il Museo per il suo spostamento da Partina a Bibbiena: per un ragazzo (avevo 25 anni allora…) appena uscito dall’università non è un’esperienza che capita tutti i giorni e di questo non posso che ringraziare il Gruppo Archeologico Casentinese, dal Presidente Massimo Ducci a tutti i suoi soci, con un pensiero particolare per il compianto Piero Albertoni. Quella, come prima era accaduto anche con l’esperienza al Lago degli Idoli, è stata l’occasione anche per entrare in contatto col mondo istituzionale, dalla Soprintendenza agli enti locali, e cominciare a capire come davvero funziona la macchina amministrativa, cosa che ovviamente all’università non insegnano. Ho avuto poi la fortuna di partecipare anche al gruppo di progettazione del nuovo allestimento museale, in particolare per quanto riguarda la sala preistorica, data la mia specializzazione. In questo un pensiero di speciale gratitudine va al dott. Luca Fedeli, che mi piace considerare un vero e proprio mentore, col quale nel tempo ho avuto la fortuna di instaurare anche una sincera amicizia.»
E poi la direzione come logico passo successivo? «Diciamo di sì. Il Comune di Bibbiena aveva la volontà di far diventare il Museo una struttura di rilevanza regionale e uno dei requisiti era appunto avere un direttore. Ovviamente quando partecipai al primo bando la speranza era tanta, ma ero anche consapevole della mia giovane età, 29 anni, e dell’assoluta inesperienza a confronto di altri che avrebbero potuto presentare la candidatura. Le cose invece andarono bene e, in definitiva e dopo altri tre bandi (nel 2016, 2020 e 2023), eccoci qua…»
L’hai detto tu, un’esperienza nuova, da molto giovane: raccontaci come è iniziata… «Eh, devo dire che all’inizio non è stato facile, anche perché il bando di gestione fu vinto da un soggetto del tutto avulso da nostro contesto territoriale, una grande cooperativa di Bologna, per la quale il museo di Bibbiena era soltanto un numero… Fortunatamente il personale che venne incaricato era casentinese doc e così iniziammo, non senza fatica, questo viaggio rimboccandoci insieme le proverbiali maniche. Permettetemi però di citarli per nome e ringraziarli: con Riccardo (Bargiacchi, ndr) e Serena (Braccini, ndr) più che un’esperienza di lavoro è stata principalmente un’esperienza umana, di vita, con un rapporto che è andato oltre ed è diventato di profonda amicizia e stima. Per questo non posso che ringraziarli. Per quanto riguarda invece la “strategia”, la prima cosa fu quella di far conoscere il Museo, partendo innanzitutto dal Casentino, e riallacciare i rapporti con le altre realtà culturali analoghe, come l’EcoMuseo e il Museo dell’Arte della Lana… A oltre dieci anni distanza direi che questo secondo aspetto è stato senz’altro un successo, visto che proprio nel 2024 è stato istituito ufficialmente e riconosciuto dalla Regione Toscana il sistema museale “Musei ed EcoMusei del Casentino”. Sulla parte della promozione c’è invece ancora un po’ di strada da fare, ma la direzione dettata dai capisaldi della collaborazione e della partecipazione credo sia quella giusta…»
Il Museo è un museo civico, ossia dipendente dal Comune: come è stato il rapporto con l’Amministrazione e con la macchina comunale, visto che in 11 anni si sono susseguite amministrazioni diverse? «Da parte del Comune di Bibbiena c’è sempre stato un grande supporto al Museo. L’amministrazione di Daniele Bernardini, nella sua prima legislatura, col Vicesindaco e Assessore alla Cultura Luca Conticini (con cui andammo più volte proprio in Regione) ne volle lo spostamento e si impegnò nell’allestimento inaugurato nel 2013. Nella seconda, fra il 2014 e il 2019, in pratica lo ha visto nascere e muovere i primi passi. Questo percorso è poi naturalmente proseguito fino ad oggi con l’amministrazione di Filippo Vagnoli. Posso dire, senza piaggeria visto che poi ormai non ci son più… (ride, ndr), che penso in poche altre realtà locali sia possibile svolgere un incarico come il direttore di Museo con la libertà e l’autonomia con cui ho potuto farlo io, fin dal primo momento: una libertà e un’autonomia per di più accompagnate sempre da una presenza partecipe e disponibile all’ascolto. In questo grande merito va agli uffici e a chi tecnicamente ha sempre collaborato col Museo: da Dino Moneti a Michela Cungi, da Eda Norcini a Silvia Zichella, dall’ufficio tecnico (Guido Rossi, Samuela Ristori, Lorenzo Cecconi, Silvia Fani) a quello di manutenzione (Gianni Baracchi, Pierfrancesco Furieri e tutti i ragazzi della squadra esterna). Ma un grazie particolare, non me ne vogliano gli altri, devo rivolgerlo a Francesca Nassini, prima nelle vesti di Vicesindaco e ora di Assessore alla Cultura, sempre positiva, propositiva e disponibile a supportare le proposte e i progetti che nel tempo abbiamo realizzato.»
Un contesto positivo quindi… «Hai usato la parola giusta, contesto, una parola fondamentale anche in archeologia. Un contesto in cui, dal 2016 è tornata protagonista anche la Cooperativa Oros come mandatario della Rete D’Appennino, tuttora nostro gestore. Con loro abbiamo proprio avuto una svolta e un’accelerazione nell’affermazione del Museo come polo culturale, didattico, promozionale, espositivo. È stato possibile ricreare quella rete che nel primo periodo era stata un po’ lacerata e tenuta su a gran fatica: grazie alla loro grande esperienza e capacità la rete è stata ricucita ed estesa arrivando all’attuale situazione che vede lavorare in sinergia, anche a livello di personale, gran parte delle strutture casentinesi, dal Castello di Poppi, al Museo della Lana, ai Centri visita del Parco fino, appunto, al Museo Archeologico. Anche qui, oltre a tutti ragazze e ragazzi che hanno collaborato e continuano a collaborare col Museo, un grazie particolare devo rivolgerlo a Patrizia Rosai, il vero motore che fa muovere questa macchina affatto semplice. Ho più volte detto che questo Museo andrebbe ormai avanti anche senza direttore, tanto è rodata la macchina (ride, ndr)…»
Ci hai parlato della nascita del Museo. Col passare del tempo, poi, quali sono i risultati a cui tieni di più? «In oltre 11 anni credo che abbiamo raggiunto tanti risultati, non tutti quelli che mi ero personalmente prefisso, ma comunque molti, quasi tutti direi. Il più grande, anche se non del tutto completo, a mio avviso è quello di aver reso il Museo un polo riconosciuto, con una sua identità, ma soprattutto averlo aperto come spazio sociale, che prescinde dal suo contenuto – ancorché importantissimo e di primo livello – e si fa contenitore e casa comune: di persone, enti, associazioni. Legato strettamente a questo è la funzione didattico-educativa, con il Museo che è diventato struttura di riferimento per le scuole del territorio (e non solo). Poi a questi risultati di lungo periodo mi piace citare anche i tanti progetti che abbiamo presentato e ci hanno visto premiati, sia in termini di riconoscimento qualitativo che economico: nell’arco di 10 anni da quanto il Museo è di rilevanza regionale, per esempio, siamo stati beneficiari di oltre 150.000 €, il che vuol dire circa 15.000 che ciascun anno sono stati reinvestiti nei servizi e nelle dotazioni museali. Come ciliegina sulla torta, e grazie all’impegno del gestore, abbiamo portato a casa anche il grande progetto PNRR sull’accessibilità museale da oltre 200.000 €, che ha davvero trasformato il volto del Museo e degli spazi circostanti come il giardino. Da ultimo, lo scorso dicembre, abbiamo poi presentato un progetto a valere sul bando ministeriale destinato ai piccoli musei: speriamo di bissare il risultato…»
E quelli che rammarichi di non aver raggiunto? «Sinceramente l’unico per cui valga la pena continuare a lavorare credo sia quello di una maggiore valorizzazione e fruibilità dei siti archeologici da legare al Museo: il sogno sarebbe un parco archeologico al Domo di Bibbiena, ma intanto si potrebbe iniziare dal riscoprire interamente l’area archeologica di Masseto o sfruttare sempre più la fantastica area di Socana.»
Comunque tirando le somme, davvero una gran bel viaggio in definitiva. E adesso? «Eh, adesso è arrivato il momento di passare la mano e sono tranquillo, perché sono certo delle qualità di chi mi sostituirà (la nuova direttrice dal 1° gennaio è la dott.ssa Caterina Zaru, ndr) oltre che, come ho detto, della professionalità di chi il museo lo gestisce ogni giorno. Non è stata una decisione presa a cuor leggero, per ragioni personali e professionali, ma è giusto che il Museo vada per la sua strada, senza rischiare che ci sia un’automatica assimilazione fra Museo e Direttore. Come ho avuto modo di dire lo scorso anno al convegno dei Piccoli Musei a Firenze, un Museo degno di tale nome deve riuscire a proseguire la propria strada “nonostante” chi lo dirige.»
Salutiamo Francesco (nella foto, a destra), lasciandolo alle ultime scartoffie, ringraziandolo di questa testimonianza e augurandogli il meglio nel suo futuro professionale.