di Cristina Li – Un procedere parallelo verso le due estremità opposte di un filo, perseguendo l’ambizioso tentativo di avvicinarsi quanto più possibile a entrambe le mete, distanti solo all’apparenza e necessariamente complementari l’una all’altra. Potrei descrivere così, con i soliti giri di parole incomprensibili e inappetibili per coloro che cercano un’interessante e leggera lettura di riposo, la breve permanenza in un Paese dell’ormai non più lontano Oriente, il cui fine accademico non è stato che il punto di partenza per un viaggio ben più significativo.
Cinque mesi in Cina. Cosa avrà mai di speciale, vi starete chiedendo, in un mondo in cui si fa a gara di esperienze, quest’irrisorio arco di tempo trascorso in terre oramai alla portata di mano per chiunque? Cosa vorrà mai raccontarvi quest’ennesima pagina, o piccola finestra che si affaccia sul mondo al di là dei nostri idilliaci monti casentinesi? Una modesta, e forse noiosa, storia di un viaggio all’interno – ammettendo la validità di tale locuzione come contrario di viaggio all’estero. Un viaggio all’interno, dunque, in un estraneo già noto – ammettendo, questa volta, la perfetta corrispondenza di tale ossimoro al Paese Cina in quanto terra di origine. Eccola qui, la chiave di lettura: migliaia di chilometri di distanza fisica percorsi camminando, allo stesso tempo, lungo l’indefinibile profondità umana tanto invisibile quanto invadente. Un procedere verso un futuro da scrivere, dialogando, al contempo, con un passato in composizione. Una musica, una poesia a sostenere il peso di un cantiere in lavoro; la compartecipazione di natura e cemento, di osservazione ed esposizione, di distruzione e rinascita. Può un momentaneo spostamento fisico generare un duraturo stimolo mentale? Può l’incontro-scontro con il mondo che ci è intorno, con le sue persone e culture e parole e uguaglianze e diversità, essere ‘sì violento da aprirci gli occhi per non chiuderli più?
Questa storia non vuole raccontare i passi che, dal primo bicchiere di acqua calda in terra cinese – kaishui, la cura quotidiana a ogni male – al primo caffè in terra italiana – senza doverne specificare la modalità yishi di preparazione –, si sono susseguiti nel corso dei mesi di studio presso l’Università di Dalian, estremo nord-est della Cina. Ciò che questa pagina vorrebbe comunicare è quanto sia fondamentale, per l’essere umano in quanto tale, scoprire, scoprendosi e scoprirsi, scoprendo. Nel senso che più preferite: scostare veli, spogliarsi delle costrizioni, cominciare a comprendersi e poi osservare e conoscere per comprendere tutto ciò che è Altro da noi.
Nascere e crescere con gli occhi a mandorla, in mezzo a persone che s’interrogano circa il raggio visivo che tali occhi permettono di raggiungere, semina inevitabilmente un granello d’incertezza destinato a crescere, consapevolmente coltivato o meno. Un’incertezza che condiziona lo sguardo che quegli occhi a mandorla rivolgono al mondo e a loro stessi. Parlo di mandorle che, dalla nascita, imparano a produrre, anziché il proprio latte, latte di soia, credendo sia parte della propria natura, attraverso il quale interagiscono con un mondo che li riconosce, però, solo per metà; mandorle che, rendendosene conto, continuano a guardarsi intorno influenzate da quel parziale riconoscimento altrui e, pertanto, provano ad aprirsi, sempre più grandi, nel fantasioso tentativo di aumentare il raggio visivo a loro concesso, per sentirsi più vicini alla terra su cui camminano tutti i giorni. Fino al giorno in cui, per casuale fortuna o reale premiazione di capacità, quegli occhi a mandorla si trovano a passeggiare su terre nuove, in mezzo a così tanti altri occhi uguali a loro. Immediato è il riconoscimento di qualcosa di noto, di comune, di vicino; ma la produzione è ancora diversa, ancora a metà tra ciò che credevano di essere e ciò che, forse, realmente sono. La quotidiana e stretta convivenza, per la prima volta nella mia vita, con una concreta realtà cinese ha donato ai miei occhi, che tanto desideravano essere grandi come i vostri, la capacità di essere tanto grandi e curiosi quanto piccoli e riflessivi a seconda di ciò che osservano. Tengo stretto, tra le mani, l’estremità del filo che, finalmente, ho recuperato dal passato diniego di esso, dispiegandolo, ora, sulla stessa scia della sua estremità opposta, volta a scrivere una vita che ancora non conosco.
All’indomani dei cinque mesi in Cina, son perno della mia stessa dualità, le cui rotaie si estendono parallele dinnanzi a me.
(tratto da CASENTINO2000 | n. 306 | Maggio 2019)