di Marco Roselli – Diversamente dagli articoli che curo per CASENTINO2000 questa volta voglio fare un breve resoconto del viaggio che ho fatto nell’agosto dello scorso anno visitando Islanda e Groenlandia. Non era la prima volta che viaggiavo in Islanda ma lo è stata per la Groenlandia, una terra in cui non avevo mai messo piede. Chi mi conosce sa che ho compiuto molti viaggi invernali ed estivi nel nord del mondo, ma la Groenlandia, sia pure per pochi giorni, mi ha colpito profondamente perché si tratta di un mondo a parte.
Quanto serve internet per il viaggiatore romantico? L’isola venne scoperta nel 900 d.C. da coloni norvegesi d’Islanda ed Erik il Rosso vi si insediò fra il 982 e il 984, battezzandola Grønland («Terra Verde»); egli all’epoca non poteva immaginare che i 6/7 della superficie sono completamente coperti da ghiacci spessi fino a 3.000 metri (Inlandsis). La Groenlandia è la più estesa terra artica e l’isola più grande della Terra (2milioni e 175.600 km2), posta fra l’Arcipelago artico canadese e l’Islanda, da cui è separata dal Canale di Danimarca. Ha la forma di un trapezio, con lunghezza massima di 2650 km (dal Capo Morris Jesup al Capo Farvel) e massima larghezza di 1050 km.
Colonia danese dal 1721, la Groenlandia è dal 1953 una contea della Danimarca (capoluogo Godthåb), amministrata da un governatore e rappresentata in parlamento da due deputati. La popolazione è composta da Inuit – che si suole suddividere in tre gruppi: Groenlandesi orientali, occidentali e polari – ed Europei (quasi tutti danesi), in gran parte insediati nei centri della costa sud-occidentale. La struttura dell’economia, un tempo esclusivamente di sussistenza, in seguito a un graduale raddolcimento del clima della zona costiera si è sensibilmente modificata. Infatti, l’aumento della temperatura media delle acque marine ha determinato un forte incremento del patrimonio ittico, pertanto la pesca, soprattutto quella d’alto mare, viene praticata con metodi sempre più moderni. Tra le risorse minerarie, notevole è la produzione della criolite (il minerale del film “Il senso di Smilla per la neve”), estratta dalle miniere di Ivigtut.
Quello che sogni quando finisce il giorno Le note sopra riportate sono state prese volutamente da internet per significare che in questa epoca storica tutte queste informazioni sono facilmente reperibili in rete, ma la mente del viaggiatore, almeno di quello romantico, è stimolata da tutt’altro e non è affatto colpita da notizie che si acquisiscono con un click. Sono i vecchi atlanti fisici, specialmente se ingialliti e le cartine geografiche, meglio se sgualcite e segnate dagli appunti presi a lapis a far partire la mente dei sognatori. Perché spesso il viaggio nasce molti anni prima che si compia realmente. Questo germoglia nei sogni notturni e in quelli diurni, viene alimentato da vecchie cartoline, da libri di geografia delle scuole medie, da diapositive ormai sbiadite, dai soldi che mancano per andare, da vecchi amici che come te condividono certe passioni, dal desiderio di conoscenza, dalla voglia di sfiorare la frontiera senza mai raggiungerla. In questo breve racconto di viaggio cercherò di trasmettere al lettore immagini e sensazioni di un viaggio inusuale, uno di quelli che non si fanno tutti i giorni.
Il viaggio Negli ultimi anni la Groenlandia sta conoscendo un crescente numero di visitatori. Se fino a una decina di anni fa questa isola continente era raggiunta soprattutto da scienziati e alpinisti, anche a causa dei costi proibitivi, in tempi recenti sta accogliendo turisti praticamente tutto l’anno. Proprio l’Islanda – meta gettonatissima grazie alle sue stupefacenti bellezze naturali – rappresenta uno scalo ideale per chi vuole raggiungere la Groenlandia in aereo o in nave. Dopo aver raggiunto Reykjavik in aereo ci siamo imbarcati su una nave da crociera, la quale avrebbe dovuto fare una prima tappa a Grundarfjordur nella penisola dello Snæfellsnes (la zona resa celebre da Jules Verne nel libro Viaggio al centro della terra) posta a nord ovest rispetto alla capitale. Neppure il tempo di prendere possesso della cabina che un annuncio generale del comandante comunicava l’annullamento del trasferimento a causa di una terribile tempesta che avrebbe reso pericoloso lo sbarco con i tenders. Unica alternativa, nella speranza di evitare il tifone, era quella di circumnavigare l’isola verso sud est per poi risalire a nord, recuperando almeno le mete di Akureyri e Isafjordur e successivamente puntare direttamente verso la “terra verde”. La navigazione sotto costa permetteva di vedere in lontananza nubi nerissime illuminate appena da un bagliore rossastro che faceva pensare a un lungo tramonto (ma che successivamente scoprimmo essere il vulcano nella penisola di Reykjanes che si stava letteralmente mangiando l’abitato di Grindavik).
A fine giornata il cielo si manteneva costantemente grigio, tuttavia, il mare non pareva particolarmente agitato, ma quando doppiammo il faro di Hraunhafnartangi il nero che avevamo lasciato al mattino ci venne addosso e solo la fioca luce del segnalatore ci rincuorava. Per farla corta, nel giro di mezz’ora cominciammo a ballare in mezzo a onde alte 7 metri ma io ero nel mio centro tanto che restai sull’ultimo ponte fino a che non venne notte fonda, quando mi trasferii in biblioteca per prendere questi appunti. Al mattino infine arrivammo a destinazione e dopo aver visitato Akureyri (con avvistamento balene) e Isafjordur il giorno successivo la Ocean Star fece finalmente rotta verso la Groenlandia. Tante volte sono stato ancora più a nord, fino alle Svalbard (80° latitudine), ma non potrò mai dimenticare gli ultimi lembi dei fiordi occidentali, come la penisola di Hornstrandir, luoghi dove nessuno abita più da decenni, perché privi di strade e raggiungibili solo via mare. Queste zone sono il regno delle volpi artiche e delle pulcinella di mare, talvolta degli orsi polari che raggiungono quelle coste sopra iceberg erranti, originatesi proprio dalla calotta groenlandese. Succede raramente ma per loro è una sventura perché vengono abbattuti, come è accaduto solo pochi giorni dopo il nostro rientro in Italia.
Groenlandia Arrivati a Nanortalik, nella Groenlandia meridionale, trovammo una delle poche giornate con cieli limpidi. Posto di fronte allo stretto di Davis, il braccio di nord Atlantico che divide l’isola dal Canada, questo pugno di case ospitava un minuscolo museo, un bar, la scuola e un altrettanto piccolo albergo. Scesi dalla nave c’erano le donne inuit dietro alle bancarelle che vendevano manufatti in lana e collane di perline prese d’assalto da turisti armati di macchina fotografica, mentre i bambini giocavano davanti alla scuola. A me interessava parlare con qualcuno del posto, perciò andai dietro a degli uomini che avevano fucili sotto braccio e arpioni ed erano diretti al mercato del pesce, un tavolaccio dove i pescatori avevano buttato le catture della mattina. “Che pesci sono?” domandai, perché non avevo mai visto niente di simile, anche se somigliavano a piccoli squali. “Muufish” risposero in un inglese più che buono.
Non ci sono fotografie da pubblicare di quella situazione perché gli inuit non sono animali allo zoo e i loro volti scavati dalla salsedine e dalle notti polari lo esprimevano con chiarezza. Non hanno così tanto bisogno dei danesi, nonostante gli enormi depositi di carburante in fondo al paese vengano riempiti dalle navi di Copenaghen. Loro continueranno a fare quello che hanno sempre fatto da migliaia di anni, cioè cacciare animali marini e terrestri e nessuno potrà mai impedirglielo. La notte seguente navigammo ancora verso nord fino ad arrivare a Qaqortoq, un abitato più grande di Nanortalik e con diversi elementi interessanti. Tra questi, le rovine di antichi insediamenti norreni fondati dal celebre Erik il rosso e straordinarie bellezze naturali, che tuttavia non avemmo modo di apprezzare perché il meteo era tornato inclemente. L’ultimo giorno, prima di riprendere la navigazione verso l’Islanda, l’imbarcazione ci portò dentro il Prince Cristian sound, il lunghissimo fiordo che termina di fronte ai ghiacciai provenienti dalla calotta groenlandese. Innumerevoli blocchi di ghiaccio, alcuni grandi come un frigorifero ed altri come un camion popolavano quelle acque per quasi cento chilometri. Kalaallit nunaat, il nome groenlandese di quella terra, ci ha voluto salutare con un paesaggio che non ha abbastanza parole per essere descritto degnamente.
Smilla aveva ragione. Nel romanzo, quando venne portata davanti alla polizia per un serrato interrogatorio, l’ispettore, vedendo che non riuscivano a piegarla, minacciò di rinchiuderla in una cella insonorizzata. A quel punto cedette, perché avrebbe potuto resistere a qualsiasi tortura fisica ma non alla reclusione. Chi nasce il Groenlandia è abituato a spazi immensi, ad orizzonti senza fine. L’autore Peter Hoeg, davanti al meccanico, fa dire a Smilla: “È come un grande paesaggio aperto. Gli orizzonti. Ci si avvicina a essi e loro continuano a spostarsi. È la Groenlandia, ciò di cui non posso fare a meno. È per questo che non voglio essere rinchiusa» (Dal libro “Il senso di Smilla per la neve”).
La foto sopra a destra l’ho scattata al termine del fiordo Prince Cristian sound, poco prima di rientrare in mare aperto, dove ci stava aspettando una navigazione che sarebbe stata di nuovo molto movimentata. Ad un tratto vidi questo braccio che si inoltrava verso nord in mezzo ad enormi montagne di granito senza che si potesse scorgere una baracca o un qualsiasi altro manufatto umano. Non sapevo fin dove si spingeva e neppure adesso lo so, perché è uno delle innumerevoli ferite inferte dalle glaciazioni alle terre del Nord. Ma almeno per me, è proprio in questo che consiste il viaggio: non sapere, cercare, sognare.
“Non con i moderni strumenti dell’uomo bianco” – dice il figlio dello sciamano inuit nel film “Agaguk – l’ombra del lupo”.