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mercoledì, 29 Gennaio 2025

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VivEndo: il coraggio di raccontarsi e raccontare l’endometriosi

di Eleonora Boschi – Il 23 Novembre scorso si è tenuto, all’auditorium Berretta Rossa di Soci, il primo evento di sensibilizzazione sull’endometriosi in Casentino che ha visto coinvolto un energico ed eterogeneo team composto da artisti, personale medico e pazienti che, insieme, hanno cercato di raccontare che cosa sia questa malattia, ancora sconosciuta a molti e che fa paura.

In questa intervista Anna Lisa Barducci ci racconta come è nata l’idea di organizzare questo incontro, narrandoci anche la malattia dal punto di vista di una persona che ci convive da tutta la vita e che riconosce la necessità di una maggiore conoscenza.

Può raccontarci la storia e le motivazioni che si nascondono dietro a questa iniziativa e chi sono i suoi protagonisti? «L’idea iniziale è partita da Marco Acciai, noto fotografo nel Casentino, che aveva espresso il desiderio di fare una mostra che raccontasse di donne che soffrono di endometriosi. Essendo a conoscenza della mia malattia, Marco mi ha contattata chiedendomi di partecipare come modella, ma io, in quel momento, ho rifiutato. La mia scelta non era stata dettata dalla paura o dalla vergogna per la malattia; l’endometriosi è una patologia la cui diagnosi può richiedere molti anni, soprattutto se si proviene da un paesino di una valle e in quel momento stavo ancora troppo male per poter prendere parte a un simile evento. La mia risposta è cambiata dopo che mi sono sottoposta a una isterectomia radicale che ha alleviato i sintomi migliorando il mio stile di vita. Il progetto di Marco stava continuando e decido quindi di accettare la sua proposta. Soffrendo io stessa di endometriosi ho molti contatti, quindi mi sono offerta di aiutarlo a trovare altre modelle dato che lui stava facendo un po’ fatica, anche perché molto spesso ragazze e donne con endometriosi tendono a nascondere la propria malattia. Fra le mie conoscenze, siamo riusciti a trovare altre modelle e alla fine eravamo in 15, tutte provenienti da varie province della Toscana. A quel punto decido di proporre a Marco di fare qualcosa di più, di allargare la mostra e renderla un vero e proprio evento di sensibilizzazione facendo riferimento anche al personale medico più esperto nell’ambito di questa malattia».

Quindi, se ho capito bene, l’evento è stato organizzato principalmente da lei e Marco Acciai, giusto? «Esatto. Marco è stato molto bravo nel gestire la parte più artistica della mostra, io mi sono occupata poi della parte relativa alla malattia di per sé e alla sensibilizzazione, avendo conoscenze con i medici che operano nel fiorentino e al Centro Endometriosi di Siena. La mia intenzione era quella di coinvolgere un ampio team medico, trattandosi di una malattia che non si limita solo all’ambito ginecologico e che necessita anche di un supporto psicologico, nutrizionale e legato all’aspetto sessuale. Per motivi logistici, però, all’evento erano presenti “soltanto” la Dottoressa Chiara Pagliai (nutrizionista), la Dottoressa Elisabetta Pesci (psicologa), la Dottoressa Fulvia Ranieri (ginecologa), il Professor Enrico Zupi e la Dottoressa Lucia Lazzeri da Siena, la Dottoressa Marzia Sandroni in qualità di referente regionale e il vicepresidente dell’associazione A.L.I.C.E. ODV, che ogni anno organizza la marcia per l’endometriosi a Roma. Avevo anche contattato Giulia Sorrentino, una nota influencer che soffre di endometriosi che però non è riuscita ad esserci e quindi ci ha inviato un video perché ci teneva comunque a portare la sua testimonianza».

Come era strutturata l’iniziativa e quale era il messaggio che volevate trasmettere al pubblico? «Il nostro obiettivo era quello di sensibilizzare le persone sull’endometriosi e far raccontare la malattia a chi, con essa, ci convive ogni giorno. A questo scopo, ciascuna modella indossava una maglia bianca sulla quale c’era scritta una parola che per lei rappresentava il rapporto con la malattia e l’influenza che ha nella sua vita. Io, ad esempio, avevo scritto pregiudizio. Altre ragazze avevano le parole: paura, maternità, resilienza, ma nessuna di noi aveva scelto la parola dolore, perché in realtà l’endometriosi è molto più del dolore che si prova. Affinché le persone presenti potessero capire la condizione di coloro che vivono con l’endometriosi e il perché questa malattia non sia soltanto fisica, era necessario spiegare la scelta delle parole e in questo ci hanno aiutato Alessandra Aricò, che ha interpretato i nostri testi e Rossana Farini, che invece ha mediato la parte medica. Il risultato finale è stato davvero bello: non si è trattato dell’endometriosi di per sé, anche se questa è una cosa che vorrò fare in futuro, ci siamo concentrati sul percorso psicologico e umano delle persone affette. È stato bello perché quello che noi volevamo era semplicemente essere ascoltate, dato che molto spesso ci sentiamo incomprese anche dal personale medico, e in questa occasione ci siamo riuscite. L’endometriosi è una malattia con una diagnosi molto lunga e difficile. La donna diventa una cosa sola con il dolore che viene accettato e conseguentemente normalizzato, ma normalizzare il dolore di una donna è sbagliato. Ascoltare Alessandra che raccontava le storie delle modelle presenti è stata quindi l’occasione per i medici per comprendere che un ascolto attivo delle pazienti può aiutare a prevenire determinate situazioni e che questo è ciò di cui le donne hanno bisogno».

Ma, facendo un passo indietro, che cosa è l’endometriosi? «Si tratta di un processo che parte dal primo menarca che consente al tessuto che riveste l’interno dell’utero di rimanere in sede e di spargersi nell’addome invece che essere espulso attraverso il ciclo mestruale. Questo tessuto con il passare del tempo si inspessisce e crea dei noduli e dei focolai. Il problema è che non si è ancora capito quale sia la causa di questo flusso retroattivo. Fra le varie ipotesi c’è una possibile trasformazione di una proteina, o che sia invece legato all’alimentazione. Un nutrizionista può infatti suggerire cosa sia meglio mangiare e cosa eliminare dalla dieta per evitare uno stato infiammatorio, ma questa non è sicuramente la cura. Il problema è che l’endometriosi è difficilmente diagnosticabile perché non si manifesta mai nello stesso modo. Molto spesso, quello che noi donne affette da endometriosi ci sentiamo dire quando ci rechiamo dai medici manifestando dolori forti e non usuali è che “è tutto normale” e che ci dobbiamo abituare a quel dolore, senza ricevere alcuna rassicurazione o diagnosi più specifica. Io, ad esempio, ho atteso 41 anni per avere la diagnosi ufficiale. Terapie infinite, visite su visite durante le quali mi veniva detto che non c’era niente di anomalo e dalle quali tornavo senza alcuna soluzione. È stata la Dottoressa Elena Busi a diagnosticarmi la malattia per prima dopo anni di sofferenze ed io le sono immensamente grata per il supporto che mi ha dato».

Perché, secondo lei, è importante parlare di endometriosi? È così diffusa anche in Casentino? È importante parlarne perché si tratta di una malattia ancora a molti sconosciuta e che si trascina con se molti pregiudizi e che necessita quindi un’importante processo di sensibilizzazione. Anche in Casentino ci sono diverse donne che ne soffrono o affette da patologie simili, come, ad esempio l’adenomiosi, un’endometriosi interna all’utero nonché causa principale di infertilità. Il problema è che in Casentino, così come nelle zone limitrofe, non c’è un personale medico specializzato e che possa offrire un supporto completo. Il centro più vicino che è diventato il mio punto di riferimento è infatti Siena, dove ci sono molti medici specializzati che stanno investendo molto su questo tema».

Tornando all’evento, siete soddisfatti di come è andata? Quali saranno i prossimi passi? «Si, siamo molto contenti del risultato e dell’attenzione che ha suscitato nel pubblico presente. È stato bello vedere come tutti si siano messi silenziosamente in ascolto, empatizzando con la malattia e con le protagoniste della mostra. Questo evento ha fatto rumore, ha fato capire che ci siamo e che abbiamo bisogno di essere ascoltate. In Casentino non ci sono ancora figure di riferimento per questo tema; noi, donne che conviviamo da anni con l’endometriosi, diventiamo quindi un punto di riferimento sia per i medici che per la comunità ed è per questo che c’è bisogno di parlarne. Ci sono tante idee per il futuro. Sicuramente vogliamo replicare questa mostra nel tempo e coinvolgere le protagoniste per altri eventi che uniscano la parte più emotiva a quella medica. Un’altra cosa che vorremmo fare è organizzare degli incontri nelle scuole superiori per sensibilizzare su questo tema e far capire, soprattutto alle ragazze, che provare dolore non è una cosa di cui vergognarsi. In aggiunta, vorremmo istituire un’associazione e un collettivo il cui obiettivo principale sia proprio la sensibilizzazione sull’endometriosi e sulle malattie croniche più in generale, accomunate da sentimenti quali solitudine e mancanza di ascolto e comprensione».

Prima di salutarci dopo questa interessante e toccante chiacchierata, Anna Lisa Barducci ha aggiunto: «Ci tengo a ringraziare pubblicamente il Comune di Bibbiena e le ACLI di Arezzo che hanno collaborato con noi sostenendoci anche economicamente e rendendo possibile questo evento. Quando ci si unisce per una buona causa in cui si crede si riescono a lanciare importanti messaggi».

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